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«Con
l'entusiasmo di chi vive in Pianura -fra brume nebbiose e caligini gelide
d'inverno, dove il freddo pungente ti gela le ossa- e vicino a fiumi inquinati,
non-navigabili, maleodoranti e a volte colorati dagli scarichi delle concerie
mi accinsi ad osservare il mare, quale espressione della forza primigenia
delle acque. Le prime marine dipinte si accompagnano all'apprendimento
delle tecniche ad olio e all'inizio delle medie. Nel contempo leggevo
i classici: l'Iliade, ma soprattutto l'Odissea. Quest'ultimo -fra i due
omerici- è sempre stato il mio preferito; suscitava in me grande
attrazione ed interesse, quasi venerazione per certi versi: le gesta e
l'epopea della storia dell'Umanità alla ricerca e sempre in viaggio,
mai paghi di una meta. rivolgo da subito l'attenzione al destino che è
di ciascuno: viaggiare (che è in realtà ricercare e non
amare un unico luogo, bensì esser "cercatori"). A questo
crescente interesse per l'arte figurativa -quasi sfogo alla impressione
tratta dai classici- accompagno una crescente inclinazione alle pratiche
subacquee e all'apnea. L'elemento marino, evocante l'arcano ed il misterico,
affascina il mio sguardo trasognato di fondali sommersi ora via via scoperti
e posseduti con la suggestione della pittura. Il mare -"u mah, u
mal" per i genovesi- è il mio secondo habitat.
Mareggiate di Zoagli, invernali, vissute sotto il ponte della ferrovia
ad ascoltarne nell'eco il fragore frangersi sulle scogliere come un boato
a vaporizzarsi; mare in burrasca come quello pauroso dell'87 che distrusse
molti scafi e spazzò natanti come moscerini e persino scafi a vela
dal Carlo Riva sino a San Michele di Pagana e a Prelo; tempestose autunnali
di Riomaggiore; semplici marine, pacate, della Baia delle Fate di Sestri
Levante, o semplici Leudi alla deriva -nei mesi invernali- sempre sull'arenile
della cittadina che segna il confine meridionale del Tigullio; riva Trigoso
e le Cinque Terre, sino alle Grotte di Byron in Portovenere, sulle pareti
scogliose a picco sul castello esterno al Golfo di La Spezia, impetuoso,
aperto come quello di Ansedonia o della Maremma visto in età giovanile.
Il mare archetipo e protagonista di questa "pittura degli elementi"
segnata come la filosofia presocratica da uno dei quattro componenti:
l'acqua! Simile alla geometria euclidea, studiata al biennio delle superiori,
la mia pittura diviene filosofia estetica e strumento di ricerca. La pratica
marinara, la vela anzitutto, poteva essere sublimata solo mediante l'olio.
Questa percezione rimane immutata nel tempo, assume altre prospettive,
sempre alla ricerca, spasmodica ed inquieta. L'interesse è per
uno dei "dati" -visibili- della creazione: gëmenschaft,
come dicono i tedeschi. Dall'acqua siamo creati e in essa cresciamo e
nasciamo. Acqua, gestazione, creazione e parto assumono un mio interesse
crescente.
Non so bene se accompagnassi crescenti inquietudini e dubbi alle mie pitture,
o se le mie tavole fossero risposte -o tentativi- alle mie interrogazioni
ed ai miei crescenti interrogativi. I molti e crescenti quid si fecero
colore e si impastarono in materia coagulandosi sulle tavolozze, sulle
tavole, sulle mie spatole e pennelli, sulle dita e sulla mia anima alla
ricerca. La storia della filosofia era uno spiraglio per potermi informare
su travagli altrui, quelli dei Filosofi dell'Antica Grecia.
E la mia pittura cambia perciò "registro", come la timbrica
di una melodia, ma non muta l'interresse per l'acqua. Alle immagini post-impressionistiche
-segante dall'amore per Van Gogh e Gauguin- si sostituiscono, man mano,
visioni di astrazioni espressionistiche, scevre di astrazioni totali,
anarchicheggianti, autonome. Queste mie visioni divengono i miei "Percorsi",
miei pannelli -per lo più tavole di legno enormi ad olio- che sostituiscono
le tele -come supporto materiale-. Questi percorsi rappresentano il superamento
nell'ambito della mia ricerca, personale ed artistica. Dal punto di vista
tecnicistico si rifanno a pale medievali e l'utilizzo delle polveri fini
dei colori, mescolati ad oli, mi riportano alle esperienze empirico-chimico
della sperimentazioni di un olio che è vita e che è l'elemento
costituivo della ricerca. E il colore è segno, tratto, man mano
figura, espressione, mareggiata, odore di fondali, alghe di porto su scafi
tirati in secca con gru ed argani. Le tecniche sono sempre più
materiche e miste.
I soggetti divengono quelle sensazioni di luce colte negli abissi del
Parco di Portofino, fra i relitti e i banchi di poseidonia, oppure sui
fondali sabbiosi della baia di Paraggi. Tutto è luce, ma luci contrastate,
in cui è espressa la dicotomica lotta fra luci e tenebre, chiari
e scuri. Narrazioni di incontri di cernie, seppie e banchi di orate giganti.
Impressioni degli abissi».
ALESSIO
VARISCO, Magister Artium
Port'Ercole,
25 dicembre 2003
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