Ricordando i Maestri: Segantini e Pellizza Di Volpedo |
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«Non me ne vogliano i miei trenta lettori se cito –a mo’ di florilegio- queste parole a significare un testamento a cui ho attinto, e del quale ho riproposto –modestamente- mie “sensazioni cromatiche”. In questi pensieri non vi è disarticolazione, bensì una forte componente empiristica che supera l’oggettuale per trascendere persino lo “spirituale” e farsi metafisica nella dimensione più ellenica (meta-fisica, dal greco “oltre la fisica”). «Car
al nostr'amis pintùr –ti ta se propri fortunà- che
te se scielt coi tò culùr un mesté privilegià». «Al vero artista la vita solitaria della campagna è utile invece che nociva, poiché lontano dagli eccitamenti necessari ai fiacchi mai ristà dal lavoro e dalle ricerche, preferendo così un progresso lento ma continuo» [GIUSEPPE PELLIZZA DI VOLPEDO]. «Qui
si vive a 1890 sopra il mare, a quindici e sino trenta gradi di freddo
in una casetta tutta di legno e molto comoda con mia moglie e i tre figli.
Da queste parti non passò ancora il fischio della macchina né
mai si udì tocco di campana. Silenzio sempre, interrotto dal fischio
del vento e dall’abbaiare dei cani». «Gli
schieramenti che posso darti sul modo di afferrare le fermare delle pecore
nei loro movimenti di vita, è di dirti in breve come procedetti
io in tali studi. ALESSIO VARISCO, Magister artium Pontresina,
8 agosto 2004 |