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«Questo
il testamento spirituale del nonno del pittore monzese Alessio Varisco,
figlio d’arte, madre pittrice fauves.
Mario, il nonno, è futurista, allievo a Monza presso l’Istituto
Superiore per le Industrie Artistiche che come definisce la storica dell’arte
Bossaglia è scuola d’arte europea al pari del Bauhaus.
Come il nonno cresce frequentando quotidianamente l’ala sud della
Villa Imperiale di Monza, le ex scuderie dell’Imperatrice d’Austria
e poi di casa Savoia. Molteplici i maestri del nonno fra cui Arturo Martini
e Marino Marini, altrettanti quelli di Alessio.
Fremente, certamente, per entrambi -nonno e nipote- lo studio delle tecniche
per la copia dal vero. Mi piace sottolineare la frase iniziale: un modello
di “studio” per accingersi ad operare, a creare la vera arte,
una climax per giungere alla figurazione dell’opera d’arte;
uno statuto epistemologico per ogni artista.
Alessio, oggi artista ventiseienne, matura frequentando -allora quattordicenne-
la scuola esperimentando la fotografia: suo docente è il fotografo
Vicario. Esperimenti in camera oscura con le emulsioni e le prime macchine
dal foro stenopeico lo introducono alla scoperta dell’ottica percettiva,
dell’analisi fisica legata alle lenti e dalle varie sperimentazioni
con gli acidi e gli argenti… Una reflex manuale lo accompagnerà
nei cinque anni di permanenza all’Istituto Sperimentale d’Arte.
I suoi primi soggetti, in bianco e nero da lui prodotti, sviluppati e
stampati, sono: la Villa, i Giardini Imperiali, la Scuola, il Rosetum
del Re, i laboratori dove insieme ai compagni produce l’arte…
la vita di un giovane, le gite, le bigiate, i musei, le chiese, le manifestazioni
studentesche, la passione nel documentare le autogestioni ed occupazioni,
i big della musica… il mondo!
Con lo stupore di chi riconosce e si appropria del mondo che lo circonda
inizia a modellare la plastica dapprima con Fedele e poi con Modica provando
la materia plasmandola, costruendola, progettandola nelle bozze. Già
da tempo però sapeva e poteva “fare” arte grazie alla
madre che già da piccolissimo gli aveva riservato le pareti di
casa per potersi esprimere! Perciò alle regole dei maestri è
la “libertà” la prima ispiratrice di Alessio che lo
accompagna ancor oggi.
Ebanisteria è unita al “dolce stilnovo” ed alla sua
passione per il pianoforte e le tastiere… Il romanzo gotico e il
tema del doppio sono la sperimentazione di realizzare durante il secondo
anno scolastico in Istituto un’esperienza teatrale coll’attore-regista
Flavio Albanese allievo di Streheler impegnato in Mediaset in quegli anni.
Alessio, coi suoi compagni, sperimenta l’aiuto-regia e la realizzazione
della progettazione di tavole della sceneggiatura scritta da loro: laboratorio
teatrale leggendo “Utopia” e facendo della scuola una vera
“u-topia” e perciò “realtà senza luogo”.
Questo è la scuola per lui in quegli anni: buoni profitti nelle
materie teoriche, l’apprendimento dei rudimenti del disegno, del
tratteggio, del chiaroscuro e del layout dall’insegnante De Simone
e da Mirzan, ma soprattutto la ricerca personale ed individuale, l’applicazione
della geometria descrittiva e della progettazione proprio sul campo…
La scuola divenne la vita e compagna fu la scuola.
Queste cose apprendo direttamente dalle sue opere, dall’amicizia
che ho di lui, dal suo atelièr –uno stanzone ricolmo di progetti,
di bozzetti e tubetti di oli- e dalle molte fotografie e diapositive.
Mi accorgo sempre più conoscendolo che il suo mondo interiore è
fatto di quelle stesse fiabe, dalle molteplici circostanze che la vita
gli ha elargito consentendogli di esporre, in molti spazi forse più
dei suoi anni, i suoi lavori sofferti nel quotidiano maturati insieme
a lui.
Le sue opere ultime soddisfano la sua fame di spiritualità intrapresa
nel terzo anno delle superiori leggendo –da perfetto “inquieto”-
il libro di S. Agostino “Confessiones”, maturandolo in arte.
Già da tempo aveva elaborato dei “segni” –che
parrebbero astratti e di derivazione kandinskyana- che esprimono, invece,
l’incomunicabilità passata in Jonescoo e nel “Secolo
Breve” che si spegneva insieme ai suoi studi…
Ed i maestri gli furono soprattutto la vita, le opere, lo studio della
geometria euclidea e dei solidi platonici ed archimedei. La passione per
l’architettura lo portò a saggiare qualche brano del “De
Civitate Dei” confrontato, in chiave più moderna, dall’analisi
degli scritti di Italo Calvino. Di quest’ultimo ha modo di leggere
e sentire l’interpretazione del docente di lettere Belpoliti, acuto
critico ed esegeta degli scritti dello scrittore. Ma è nell’elaborazione
di una “Gerusalemme Celeste” che inventa e sperimenta la novità
dell’olio sull’acquerello sperimentato nella Presidenza dell’Istituto
insieme al Preside, Pierantonio Manca, a cui –già in quegli
anni- Alessio dava del tu; è questa famigliarità che lo
facilita a studiare e ad apprendere… Un ambiente sano in cui crescere
forti dividendosi fra buone letture di storia del pensiero scientifico
e sociologia urbana –due materie della sperimentazione che frequenta
in quegl’anni in Istituto- e le copie dal vero di animali, teschi
e perfino oggetti d’uso quotidiano poi destrutturati e ridisegnati
seguendo la creatività.
La famigliarità nel rispetto delle funzioni gli deriva dall’insegnamento
del nonno, Mario, allievo del Semeghini. Negli anni Trenta anch’egli
esuberante artista frequenta e fonda presso l’erigenda chiesa di
San Carlo in Monza un circolo artistico; come Alessio ha la comprensione
dei maestri e perfino del parroco che consente ad un gruppetto di artisti
di occupare alcune sale parrocchiali per operarne dei laboratori; il chierico
faceva finta di niente e non diceva loro nulla quando negli inverni più
gelidi qualcuno di questi giovanissimi artisti bruciava qualche sedia
per farsi caldo. Un episodio è stato tramandato, dal nonno alla
mamma e ad Alessio, e richiama al modello di arte che Mario e Alessio
hanno vissuto: la visita del Cardinale Schuster, oggi Beato, all’I.S.I.A.
La scuola d’arte monzese, un’Università delle Industrie
Artistiche, oggi diremmo un’accademia del Design, necessitava della
copia dal vero: il vivario per i fiori vicino all’ala sud non bastava…
Per continuare c’era necessità di copiare, oltre ai modelli
plastici, anche la figura umana dal vero. L’arte necessitava della
collaborazione della Chiesa e grazie a questa in quegli anni, poté
trovare in don Milesi e nell’Arcivescovo milanese due veri alleati.
Mario e un gruppetto dei più bravi dell’istituto si mossero
dall’istituto verso l’allora Frette, quale delegazione, per
ricevere l’auto del principe della chiesa milanese. L’auto
arrivò e l’omino, che emanava preghiera ma anche quella forza
che deriva dalla “Regula Benedicti” chiese a quei ragazzi
cosa facessero. Spavaldi risposero «siamo qui per scortarla»
e si presentarono. Quei nomi non gli erano nuovi. In quegli anni Bernardino
Varisco contribuiva alla stesura della filosofia del Novecento dando un
enorme contributo alla filosofia cristiana, inoltre Pietro, un avo del
nonno di Alessio era scrittore cui la Città di Monza ha dedicato
persino una via ed un Parco Pubblico. Il padre di Mario era inoltre direttore
dei cappellifici e presidente dell’unione degli imprenditori cattolici
presso la Camera del Lavoro Territoriale di Monza, divenuta Confindustria
e poi Asso-Lombarda. Il Cardinale Schuster disse a Mario e agli altri
quanto avrebbero impiegato per far ritorno alla scuola. Gli risposero
“circa un quarto d’ora”; questi ordinò all’autista
e al segretario di fermare l’auto per quindici minuti. Quando arrivò
di fronte Mario gli disse «Resta sempre al tuo posto!» con
affetto paterno e amorevole bontà nell’insegnare ai giovani.
Il sangue artistico di Alessio è dunque arricchito di quest’attesa
–certamente nell’inquietudine-, ma che -come dice S. Agostino-
si deve compiere in questo “temere l’arrivo di Dio”…
e l’arte è soprattutto questo! Attendere quell’idea
fulminea e cercare di renderla tentando di trasferirla immediatamente,
fulminea ed istantanea; quasi fosse “in limine” sforzandosi
di non deformarla con le nostre mani. Un compito duro quello di un’arte
che corre sul filo di un rasoio, cercando di non scalfirsi né di
rovinare la lama. E’ l’arte non già dell’astrazione
espressionista –come gliela definiscono gli esperti- bensì
della lotta interiore sorta nel suo studiare le Scritture.
Due letture lo aiutano negli anni successivi la Scuola, l’Istituto
Sperimentale d’Arte di Monza, che conserva ancora con quel mistero
di chi ha iniziato a muovere i primi e veri passi: la prima è il
“Te Deum” ambrosiano che la critica attribuisce a scritto
postumo, ma certamente esprimente la metafisicità ambrosiana, ed
in particolare quel «non horruisti virginis uterum» che consentirà
una sua speculazione pittorica della “Madre di Dio”; il secondo
molto più recente, di taglio antropologico che lo spinge a superare
la figurazione astratto-espressionista sperimentando un nuovo realismo
a tratti divisionista-espressionista di stampo hodleriano, che è
«Nostalgia dell’origine» ripreso dall’Arcivescovo
+Carlo Maria Martini cui Alessio dedica un’illustrazione della sua
Lettera Pastorale «Ritorno al Padre di tutti». Le Theotokos
e i Percorsi attraversano la poetica del giovane Varisco di fine anni
Novanta cui seguiranno le molte immagini di monti e di cavalli.
Le montagne dell’Engiadina, della Valle Münstair, le aurore
da Sils Maria dove Nietzsche scrisse il «Così parlò
Zaratustra» (che Alessio ha modo di leggere in Rapallo nel 1996
e ’97 durante la sua permanenza e trasferimento in Riviera per consentire
alla sorella di frequentare il Ginnasio a Rapallo), le visioni della tempesta
su Sankt Moritz Dorf e le lievi e ventose visioni estive su Schlarigna
–mi riferisco alla stupenda architettura di San Gian- o al Morterasch.
Omaggio al maestro, e non poteva mancare, «In ricordo di Giovanni»
dipinto en-plein-air sul Muottas Muragl, vicino al capanno di Segantini,
quel luogo in cui troverà la morte in una fine settembre del 1899
per peritonite acuta; l’immagine è drammatica sopra i tremila
la neve e la bufera, mentre i laghi della Valle, sotto, trasfigurati in
un rosso tramonteo con le foreste dei crinali del Corviglia e Piz Ot sgomberi
dalla neve che fiocca a latitudini maggiori. Giovanni Segantini visto
ad esattamente cent’anni da un lombardo che –come il maestro-
da sud compie l’ascesa verso il monte: procedimento contrario del
“Grand Tour” romantico tanto caro all’hintelligentia
europea ottocentesca; un pensiero in molte di queste figurazioni al maestro
comune di Giovanni Giacometti e Giovanni Segantini: Hodler. Inquietante,
quasi un “geyser di luce” –come dice la Professoressa
Gabriella Cattaneo- quel cielo “galoppato” sul Malojapass:
il lago ghiacciato, quei segni veloci di pennellate piatte esprimono la
velocità del galoppo sperimentato dall’Autore… Mi verrebbe
da riportare alcune parole di un mio, ma anche di un loro –mi riferisco
alla mamma Teodolinda e all’insegnamento appreso e comunicato ai
figli Alessio e Chiara- maestro Mons. Luigi Serenthà rettore dei
seminari milanesi e monzese d.o.c. Don Luigi diceva che ogni uomo “deve
ergersi verso l’Assoluto”. Alessio ha tentato con le sue tele
di compiere proprio questo: di ergersi “promontorio verso l’Assoluto”,
come diceva S. Bonaventura nel suo “Itinerarium mentis in Deum”:
«I desideri si accendono in noi in due modi: attraverso il grido
della preghiera che “sgorga violento dal gemito del cuore”,
e attraverso lo splendore della speculazione, per mezzo della quale la
mente si rivolge senza mediazioni e con la massima attenzione ai raggi
della luce. … Abbandonati, uomo di Dio, al continuo tormento della
coscienza, prima di alzare gli occhi verso i raggi della sapienza che
si riflettono nelle sue immagini, perché la vista di quei raggi
non ti faccia cadere in tenebre più cupe».
E non potevano mancare, in questo suo “Itinerario”, quei cavalli
–il primo olio di Alessio, compiuto a nove anni è una tela
di piccole dimensioni illustrante due cavalli di cui uno rampante- che
esprimono, come dalla mitologia greca, la libertà, l’annuncio,
la luce, il sole. Certamente –e cristianamente data la formazione
teologica di Alessio che frequenta l’Istituto Superiore di Scienze
Religiose a cavallo dei millenni conseguendo il Magistero- l’analisi
pittorica verte sull’indagine del teriomorfismo nelle Scritture
ed in particolare sull’utilizzo che l’Evangelista Giovanni
ne fa per concludere l’epopea dell’uomo condensando intorno
all’equino, non solo la metafora dell’Uomo –l’Adam
per dirlo come asserivano gli ebrei nella Torah- dinanzi a Dio nella Caduta
e di qui il Peccato Originale nello specchio i “primi quattro sigilli”,
ma anche la metonimia del simbolo cristico fino a renderlo icona di Cristo
nel XIX capitolo assimilandolo al Fedele-Verace, il Figlio di Dio, Cristo,
che porta il Giudizio di Dio sulla storia… innumerevoli sono gli
studi di Alessio sulla morfologia espressi al tratto e mediante gli oli.
Durante il suo soggiorno in Centr’Italia, durante l’Anno Giubilare,
ha potuto esporre dette immagini in prestigiosi spazi in Bagnoregio, Spoleto,
Montefalco, Orvieto, Civita di Bagnoregio, Bolsena, Assisi, Foligno e
Todi.
I cavalli dell’Apocalisse, i ritratti dei grandi campioni –Cor
de La Bryére, Zeus, Irco Darco, Cruising, Bonfire, Varenne, Apricot,
solo per citarne alcuni- hanno diviso gli ambienti espositivi con umilissimi
asinelli ritratti con punta d’argento o grafite di profetica memoria
e di evocazione cristica, si pensi all’ascesa gerosolimitana nei
Vangeli ed alla cavalcatura messianica, nonché al simbolo dell’asino
nella cultura predavidica presso i Patriarchi, in particolare al racconto
del sacrificio d’Isacco che ci rimanda alla vicenda della Passione…
Argan diceva di un’opera di Hayez «Tutto è teatro,
è incredibilmente falso: … questo quadro (N.d.R. “I
vespri siciliani£ olio su tela del 1846, custodito a Roma alla Galleria
d’Arte Moderna) è un tipico caso di neo-gotico albertino
e, come il romanticismo politico albertino, finge di cambiar tutto per
non cambiar nulla». Orbene l’arte di Alessio pur movendosi
da una scuola lombarda, pur evocando i maestri del divisionismo italiano
e confrontandosi con essi –quasi in una sorta di “revival”
in controcanto- è sintomo di scientificità, di introspezione
e di ricerca.
E speriamo che Alessio in quest’inizio di Millennio ci apra nuove
strade e ci faccia respirare le vie dei colori sempre con quell’animata
ricerca del Verum che distingue la sua arte, ascesi mistica attraverso
la pittura».
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