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«Forse
nessuna epoca come la nostra ha mai avvertito con tanta intensità
la straordinaria vicinanza che intercorre tra il mondo degli uomini e
quello degli animali, benché nell’antichità non manchino,
a farci riflettere, gli esempi emblematici e istruttivi delle favole di
Esopo e di Fedro. Per altro, anche nel mondo cristiano, san Francesco
d’Assisi si compiacque di celebrare, da tutt’altra angolatura,
l’universale fraternità che lega in stabili e armonici rapporti
reciproci le creature di Dio, rinviandoci all’idillio paradisiaco
decantato dagli antichi profeti: «Il lupo dimorerà insieme
con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto...,
un fanciullo li guiderà» .
Oggi i progressi
dell’etologia ci hanno abituati a comprendere i nostri comportamenti
a partire anche dall’organizzazione, sorprendentemente complessa,
che vige nel mondo degli animali, benché non possiamo dimenticare
che siamo pur sempre noi, per primi, a interpretare il comportamento degli
animali servendoci di modelli cognitivi e culturali da noi stessi appositamente
elaborati per leggere il mondo dei rapporti propriamente umani. In ogni
caso, entro questo circolo ermeneutico interessante che implica elaborate
operazioni nel campo della conoscenza, noi tutti, per esperienza comune
e spontanea, ci sentiamo in profonda empatia, per esempio, con gli animali
domestici di cui amiamo circondarci. Un intenso scambio di affetti e un
potente investimento di sentimenti ci coinvolge nel rapporto con gli animali
che vivono nelle nostre case o con i quali abbiamo una certa consuetudine
di vita legata, poniamo, ai nostri passatempi o addirittura agli sport
agonistici.
Nel novero di questi
‘amici’ non facciamo fatica a riconoscere un posto privilegiato
al cavallo. Fin dai primordi dell’umanità sembra essere esistita
una relazione di particolare intensità tra l’uomo e il cavallo.
Documenti preistorici e storici ne segnalano la presenza agli albori delle
civiltà più antiche. In tutte le culture, dall’Occidente
all’Oriente, esistono segni, letterari e artistici, assai qualificati
che esaltano la bellezza, la forza e il fascino di questo nobile animale,
nel quale l’uomo ha ben presto ravvisato qualcosa di grande e addirittura
di divino . Non era forse, presso i Greci e i Romani, il dio Poseidone-Nettuno
ad essere assimilato al cavallo? E la moneta d’oro della tribù
gallica dei Veliocassi non raffigura forse il cavallo sotto l’influsso
radioso del sole, cioè sotto l’azione della presenza divina?
E come mai, nel mondo orientale, il cielo della mitologia cinese è
popolato di cavalli divini? E perché in India il cavallo bianco,
Kalki, è considerato la decima incarnazione di Visnù, mentre
in Giappone l’antico cavallo bianco di Iyégas è venerato
ab immemorabili nel grande tempio di Nikko? Basterebbe del resto sfogliare
i libri di archeologia e di numismatica antica, la vastissima letteratura
sui simboli e sui misteri legati alle religioni del mondo, come pure più
specificamente gli studi sulla mitologia, i vari bestiari, i trattati
e i dizionari d’iconografia cristiana per renderci conto che sull’argomento
sono letteralmente già scorsi fiumi d’inchiostro.
Qui mi guarderò
bene dall’affrontare il tema secondo l’ampiezza delle sue
molteplici suggestioni. Mi limiterò soltanto a ricordare che, già
nel grandioso pensiero di Platone, alla figura del cavallo è riservato
un posto simbolico di eccezionale importanza, proprio in stretta connessione
con il discorso che il grande filosofo greco svolge sulla realtà
dell’anima umana. Infatti, nel Fedro, Platone paragona l’anima
a un cocchio, trainato da due cavalli, che sono governati da un auriga.
Questi impersona il nous cioè l’intelletto, o anima intellettiva,
mentre i due cavalli rappresentano l’ardore-coraggio (thumòs)
e il desiderio-passione (epithumìa). L’ardore si identifica
con il cavallo buono, che è «di forma lineare e ben strutturato,
dal collo retto con narici adunche, bianco a vedersi e con gli occhi neri,
amante di gloria con temperanza e con pudore e amico di retta opinione;
non richiede la frusta e lo si guida soltanto con il segnale di comando
e con la parola». La cieca passione, invece, si identifica con l’altro
cavallo che è «storto, grosso, mal formato, di dura cervice,
di collo massiccio, di naso schiacciato, di pelo nero, di occhi grigi,
iniettati di sangue, amico della protervia e dell’impostura, villoso
introno alle orecchie, sordo; a stento ubbidisce ad una frusta fornita
di pungoli» . È evidente il significato di questa parabola
filosofica: ognuno di noi, sollecitato da inclinazioni buone e cattive,
sperimenta quanto sia difficile orientare il corso della propria vita
in modo tale che in essa il criterio della saggezza razionale ci faccia
percorrere vie di salvezza e non di perdizione. Qui si riconosce candidamente
che le energie vitali dentro di noi hanno mobilità, forza e destrezza,
docilità – oppure, al contrario, riottosità –
simili a quelle che possiamo vedere in singoli cavalli assai diversi per
temperamento. I due destrieri attaccati al cocchio dell’anima –
così ben descritti da Platone nei loro tratti fisiognomici salienti
– sono chiari emblemi di aspetti particolari contrastanti, realmente
e simultaneamente presenti nell’anima umana. È in ogni caso
interessante (e non smette di far pensare!) il fatto di avere messo in
relazione simbolica l’anima con i cavalli.
A un altro universo
di significati approda invece il patrimonio biblico dei testi che simbolicamente
si richiamano alla figura del cavallo. Nella rivelazione ebraico-cristiana
vige, infatti, una generale concezione del mondo radicalmente segnata
dal principio della trascendenza di Dio creatore e dalla forma storica
della sua manifestazione all’uomo. Entro le traiettorie segnate
da queste due verità fondamentali si configura il complesso linguaggio
simbolico che riguarda anche la presenza del cavallo nel mondo degli uomini.
Qui, a sostenere il legame che intercorre tra questo ‘animale amico’
e il mondo divino, non è più – come invece accade
in molte civiltà antichissime – l’umanità angosciata
che, attraverso miti e leggende meravigliose, grida il proprio immenso
bisogno di una luce più alta, ma è Dio stesso che, attraverso
i profeti e i sacri autori, si serve simbolicamente dell’immagine
del cavallo per comunicare agli uomini i propri disegni salvifici. Nella
logica di questa comunicazione divina l’immagine simbolica del cavallo
svolge costantemente una funzione mediatrice tra il mondo divino e quello
degli uomini ai quali, in tappe successive, viene rivelato il proprio
destino storico-salvifico. Per addurre un esempio, il profeta Zaccaria
afferma: «Ebbi una visione durante la notte: ecco, un uomo era montato
su un cavallo rosso, egli stava tra i mirti in un luogo ombreggiato, e
c’erano dietro a lui dei cavalli rossi, sauri e bianchi...»
. Poi il profeta identifica l’uomo sul cavallo tra i mirti con «un
angelo di Jahvé» e l’insieme dei cavalli alle sue spalle
con un esercito di angeli al suo seguito. A parte la fragranza dell’immagine
– di una bellezza, diremmo, veramente ‘da sogno’ –,
qui è chiaro che il cavallo e i cavalli partecipano assolutamente
del valore simbolico dei loro cavalieri, come se formassero con loro un
corpo solo, riuscendo pienamente coinvolti nella loro funzione di ‘angeli’,
vale a dire, di ‘messi’ o ‘inviati’ divini. La
medesima logica simbolico-funzionale investe «i quattro cavalli»
dell’Apocalisse , il libro in assoluto più profetico del
Nuovo Testamento. L’esegesi cristiana, nel corso dei secoli, non
ha mai smesso di affaticarsi sui testi di questo libro, il cui sigillo
– credo – potrà essere compiutamente sciolto soltanto
al secondo avvento del Signore. Va solo notato che, dei quattro cavalli,
di cui uno bianco, uno rosso fuoco, un altro nero e l’ultimo di
colore verdastro, furono soprattutto il cavallo bianco e quello rosso
a riscuotere grandissimo interesse, nella storia del cristianesimo, da
parte dei commentatori e degli interpreti. Del resto questi due cavalli
con i loro rispettivi cavalieri, per il valore straordinariamente positivo
di cui appaiono rivestiti, rimandano spontaneamente alla figura e alla
missione redentrice del Messia, il Verbo di Dio, il «Fedele»
e «Verace». Per esempio, in perfetta linea con la suddetta
identificazione simbolico-funzionale di cavallo e cavaliere, Rabano Mauro
(780-856), abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, ci dà un esempio
stupendo di profondissima esegesi cristiana quando afferma che il Cavallo
bianco dell’Apocalisse rappresenta la stessa umanità di Cristo
a lui intimamente unita e rifulgente di santità: Equus est humanitas
Christi, ut in Apocalypsi: “Ecce equus albus”, id est, caro
Christi omni sanctitate fulgens . Nondimeno, fin dai primordi del cristianesimo,
in epoca ancora pre-costantiniana, precisamente negli affreschi decorativi
delle catacombe romane, il cavallo figura senza dubbio anche come l’emblema
del cristiano che si impegna a seguire fedelmente Cristo, suo maestro.
Per questa via, viene ricuperata nel mondo cristiano anche la simbologia
platonica del cavallo che era segnatamente di tipo antropologico. C’è
però una correzione di fondo: ora il cavallo, assunto per altro
come simbolo meramente positivo, non significa più soltanto una
parte dell’anima umana – come ancora accedeva nel Fedro di
Platone –, ma esprime simbolicamente la totalità della persona
credente che cerca e trova la propria identità nella sequela di
Cristo.
Anche Alessio Varisco,
maestro d’arte e professore di religione, inserendosi con onore
in un’immensa e altissima tradizione iconografica , ci offre in
questo catalogo la sua interpretazione pittorica, nella quale riversa
i tratti personalissimi della sua straordinaria capacità di introspezione
psicologica congiunta a rara abilità anatomico-descrittiva. Le
fattezze particolari della sua opera e il dispiegamento simbolico del
suo discorso potranno essere facilmente gustati da tutti coloro che vorranno
scorrere le pagine di questo catalogo approntato con cura dalla benemerita
Casa Editrice Técne Art Studio®».
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