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"Pegasos" di Alessio Varisco
 
 
     

«Eccoci tra cavalli, lì fuori gli ultimi partecipanti del concorso appena svoltosi. Diciamo due parole sull'ultima svolta di Alessio Varisco che per quanto molto giovane ha già attraversato una serie di fasi e tecniche in continua evoluzione, oserei dire; partendo dalla prima gioventù con il figurativo e con il paesaggio, poi passando ad esperimenti di grafica, per fermarsi su quella pittura che io amo chiamare concettuale, quella dei percorsi di Alessio, quella astratta, in cui attraverso il colore facendosi il colore puro senza la figura, rifacendosi alla lezione dell'espressionismo, forse a volte, esprimeva dei concetti essenzialmente teologici.

Poi nel quasi anno che ha passato nel 2000 in Centr'Italia siamo ritornati al figurativo. Un figurativo che non è assolutamente fine a se stesso, ma che è sempre espressione di un pensiero teologico, che è alla base di tutta la sua ispirazione. E siamo qui davanti ad una serie di cavalli.

Alessio ha iniziato il primo olio ritraendo due cavalli, perciò ritorno alle "origini" il suo.

 

In effetti questa svolta al figurativo ha due forme direi diverse fra loro: una il passaggio basato essenzialmente sulla luce, soprattutto le albe (“Alba argentata” sul Malojapass), su di un gioco luministico dal significato soprattutto “spirituale”; e poi il tema dei cavalli che da un lato risponde alla sua passione per i cavalli e quindi anche ad uno studio preciso, anatomico, delle torsioni, dei movimenti, delle muscolature di chiaro rimando nel panorama della storia dell'arte a quella fase del Rinascimento così ricca di studi descrittivo-anatomorfici (si veda Paolo Uccello e Leonardo da Vinci).
La dialettica di Alessio, però, è pregna di significati ben più grandi che rimandano alla soteriologia dell'uomo; difatti i Suoi sono i cavalli dell'Apocalisse, che si ispirano ai cavalli dei quattro sigilli (visti prevalentemente come distruzione di una realtà contingente "umana") e del Cavallo Bianco che invece è il cavallo del Cristo Trionfante che irrompe dal buio.
Ed in questo osserverei i molti tentativi di Alessio dei “cavalli che escono dal buio” (lui di solito descrive in questo modo tutti i "grigi" cioè i cavalli dal manto bianco), in particolare questo lusitano e la litografia "Dreaming", ultima tecnica da lui sperimentata, oltre che bello è particolarmente significativo. C'è proprio il concetto della luce che esce dal buio. Il cavallo ha, a parte la visuale anteriore, mentre il suo corpo si perde nell'ombra grazie al gioco del chiaroscuro. Vi inviterei ad osservare con attenzione questa emanazione di luce che richiama anche il vento, ovviamente il vento della corsa, il galoppo scosso mi suggeriva prima Alessio, il ventaglio luminoso della criniera che mi fa pensare anche al Ruah 'Elohim, cioè alla parola ebraica del primo libro dell'Antico Testamento, la Genesi, in cui parla del “Vento” e dello “Spirito”, la parola ebraica è la stessa. Tutta l'arte che attraverso grandi ben noti come Raffaello nelle Stanze Vaticane e Blake nel "Dio Creatore, Architetto dell'Universo", hanno usato il tema del vento per rappresentare la presenza divina, rifacendosi proprio ai termini ed ai concetti dell'Antico Testamento. E qui c'è il vento della corsa (forse la storia?) che muove questa criniera ad aprirsi e che è un vento di presenza divina oltreché una irruzione di luce -ancora una volta dopo il manto candido- che si staglia nel buio.

Poi ci sono "teste di cavallo" e mi ricordo che Alessio, tempo fa, mi disse, presentandomi i suoi studi al tratto, che gli occhi del cavallo sono la parte più importante, che quando è riuscito a rendere l'occhio oramai il disegno o il quadro diciamo è in procinto di venire, od è già venuto. In effetti gli occhi di questi cavalli spesso sono umani; intanto mi preme sottolinearvelo creano uno "spazio aperto" perchè lo sguardo del cavallo colpisce direttamente il fruitore e quindi escono dallo spazio del quadro e creano un rapporto prospettico con il fruitore e poi hanno degli sguardi umani, il cavallo verdastro dell'Apocalisse che rappresenta la morte non ha gli occhi, lasciando volutamente bianca la parte dell'occhio, a simbolo della cecità, con un effetto fantomatico di "anti-vita", di "non-esistenza".

Mentre qui a Voi è data la visione di sguardi diversi -però- tutti puntati sul fruitore.

Questo "Palomino" rivela uno sguardo perplesso, mi sembra di essere scrutata con perplessità da questo cavallo; quasi si chiedesse chi sono e cosa voglio fare di lui. Alessio prima mi sottolineava che questa una razza americana ha il mantello colore dell'oro e la difficoltà maggiore è nel chiaroscuro -con la grafite grigia- rendere l'effetto dorato. Beh qui l’impegno dell’artista mi pare sia reso perfettamente nel momento della realizzazione dell’opera.

Altra cura, invece, nei cavalli a figura intera, perchè qualche volta assumono delle posizioni anomale, come nel cavallo rosso dell'Apocalisse le cui zampe sembrano quasi colpirsi l'un l'altra e quindi esprime il concetto di "distruzione" di quel cavallo (è quello della guerra) anche come autodistruzione, anche come "del farsi del male" come dice Alessio quando viene così alterata la figura.

E poi c'è questa novità tecnica che è la litografia.
Alessio mi ha abituata come d'altronde Teodolinda, sua madre, ad una versatilità di tecniche e supporti (che è indice di padronanza stilistiche) da lasciare basiti. La resa litografica è molto diversa da quella del disegno preparatore, anche perchè nella grafica ha usato un fondo seppia e non un fondo candido, che comunque è molto ben fatto perchè richiama a stampe antiche. Rispetto al disegno dicevo sul fondo bianco sono meno evidenti gli stacchi cromatici, avendo utilizzato degli inchiostri marrone testa di moro, più sfumati, meno esasperati, però nello stesso tempo, qui di nuovo sto pensando alla criniera mossa dal vento, sono anche più misteriosi e suggestivi grazie a questa mancanza di una delineazione netta.

Guardiamo quest'altra serie di disegni al tratto; osservando questa purosangue araba di linea egiziana scossa, c'è un bellissimo effetto di movimento che è dato anche dalle linee dello sfondo; sembrano quasi e mi richiamano il concetto delle "Linee forza del Futurismo" che indicano vettorialmente la direzione del moto. Alessio è nipote di un futurista, Mario Varisco allievo all'ISIA di Arturo Martini, Marino Marini e Pio Semeghini e ha ri-presentato in modo puntuale questo "concetto-visivo".

Questo è “Highlander” ritratto anche in altre positure è molto ieratiche, un poco più statico ed è quello in cui lo stacco è nettissimo fra la figura e lo sfondo, c'è proprio una differenziazione totale, che pare farlo brillare. Sottolinea quest'effetto di staticità in contrasto con le altre immagini anche la sola testa è una testa che ha anche una minima torsione, che fa cogliere un movimento iniziale e quindi in-divenire, qui è immota. Il cavallo è perfettamente immobile. Molto curato dal punto di vista chiaroscurale e del disegno, si guardi la grafica della criniera, usato un ricercato senso grafico, una delle grandi passioni di Alessio dai "Parlati", serie di opere grafico-concettuali a simbolo dell’incomunicabilità giovanili.

E sono solo alcuni dei concetti riferibili alla presente esposizione che manca dei molteplici paesaggi, ora esposti nella sua personale di Piona, da me presentata il 6 maggio scorso.
Ringrazio tutti i soci del Club Ippico qui convenuti, vi inviterei a soffermarvi a guardare più che ascoltare. Grazie! Grazie ancora, gli applausi all'Arte».

Prof. Gabriella Cattaneo
Docente di Storia dell'Arte Sacra,
Istituto Superiore Scienze Religiose
Facoltà di Teologia dell'Italia Settentrionale

   
 
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