Revelatio per figuras - Rivelazione in immagini |
|||
Con la sua tesi di laurea specialistica presso l’Accademia di Belle Arti di Brera Alessio Varisco ha dato prova di quella capacità di sintesi del molteplice che spesso si lamenta tra i cultori ben preparati in un singolo ramo particolare di discipline. Infatti chi, per formazione professionale, conosce l’arte non sa per lo più nulla o quasi di teologia, e viceversa: chi sa qualcosa di teologia, molto spesso non si orienta affatto nelle discipline artistiche. Non è questo il caso di Varisco che si muove nell’ampio campo di intreccio di queste discipline disponendo di un vasto corredo di cognizioni e di pratica tanto nell’ambito teologico-religioso quanto in quello artistico. L’oggetto delle sue ricerche è rappresentato dalla domanda circa le possibilità espressive offerte dalle varie tecniche di incisione (xilografia, incisione su rame, acquaforte, litografia, “maniera nera”), quando esse siano chiamate a illustrare la struttura letteraria e il contenuto teologico dell’Apocalisse di san Giovanni, cioè l’ultimo libro ispirato della Bibbia cristiana. Come si intuisce facilmente, i fattori che entrano in gioco sono di volta in volta parecchi: questioni tecniche relative ai metodi, agli strumenti e ai diversi materiali di cui gli artisti si sono serviti; questioni storico-critiche ed esegetiche a riguardo di un testo come l’Apocalisse che, in tutta la storia della teologia, ha subito interpretazione e reinterpretazioni continue; problemi che scaturiscono dalla complessa struttura letteraria di questo testo, a proposito del quale la stessa esegesi specialistica non ha ancora raggiunto una chiarezza definitiva; ampie competenze concernenti la storia della cultura e corrispondenti conoscenze delle estetiche che si sono susseguite in contesti storici fortemente differenziati; capacità di empatia nei riguardi dei vari artisti e sensibilità per quelle esperienze biografiche che li hanno portati a privilegiare determinate chiavi ermeneutiche nella loro personale lettura del testo. Questi ed altri elementi cognitivi sono opportunamente integrati nel discorso di Varisco e piegati a servire alla costruzione delle sue accurate analisi. In particolare, a modo di premessa, è stata chiarita la novità rappresentata dall’incisione, con il suo essenziale codice binario basato sul bianco e nero, rispetto al complesso sistema della policromia che contraddistingue le miniature medievali e tardo medievali. Dal modo di illustrazione legato all’unico esemplare manoscritto (con accurato esame contestuale del Beatus de Liebana, dell’Apocalisse di Bamberga e accenni al ciclo anglo-normanno) si passa alla pratica della possibile moltiplicazione delle copie, soprattutto quando le tavole, a seguito dell’invenzione della stampa, fungono da corredo illustrativo a testi che vengono partecipati a un numero allargato di fruitori (mercanti, borghesi e basso clero). Si stabilisce così un raffronto tra la resa stilistica della contemplazione soprannaturale tipica del Beatus e lo stile narrativo, didascalico e moraleggiante che si incarna nella sinteticità e concretezza del tratto che caratterizza l’Apocalisse xilografica della Biblioteca Estense di Modena. Uno spazio del tutto particolare è riservato da Varisco all’Apocalipsis cum figuris di Albrecht Dürer. Con lui la successione delle tavole xilografiche comincia a costituire un libro a sé che scorre parallelo al testo scritto, rispetto al quale si pone come autonomo tentativo di interpretazione. Mentre la linea di Dürer ha la capacità di riscattare il disegno dalla materia (il legno), sicché egli sembra trascendere le possibilità espressive della xilografia verso la tecnica del bulino, nella corposità delle sue figure si risente la lezione del Mantegna, anche se non tutte le tavole del maestro tedesco raggiungo la stessa altezza e forza espressiva. L’eccezionale capacità figurativa da tutti riconosciuta al norimberghese l’ha messo in grado, nell’affollamento che si riscontra in alcune sue scene apocalittiche, di rispettare le leggi dell’accumulo, della ripresa e dell’anticipazione, tipiche della circolarità semitica che caratterizza l’esposizione giovannea. Se nel luterano Lucas Cranach riscontriamo un volgarizzatore dello stile di Dürer, nel calvinista francese Jean Duvet ravvisiamo, con Varisco, uno spirito creativo che, pur citando Dürer, elabora con il bulino uno stile e una corrispondente interpretazione complessiva dell’Apocalisse che risentono molto dei suoi personali presupposti confessionali. Le sue tavole si aprono come una porta ad arco sull’eternità: ci fanno entrare nell’eterno consiglio di Dio, dal cui punto di vista tutto è già deciso e concluso. Qui non c’è storia, ma paralisi dell’azione, mentre l’annullamento della prospettiva cancella anche il paesaggio. Servendosi, tra l’altro, anche degli studi del celebre storico Jean Delumeau, Varisco individua in modo soddisfacente le ragioni storico-culturali della particolare attenzione dedicata dagli artisti a illustrare l’Apocalisse tra XV e XVI secolo, e rende conto, viceversa, delle ragioni contrarie che hanno determinato un sostanziale disinteresse illustrativo nei secoli XVII e XVIII. L’Apocalisse è, infatti, un testo originariamente scritto in un tempo di crisi ed è perciò destinato ad essere ripreso con particolare intensità nei momenti storici di crisi. Se il fermento critico della Riforma offriva materiale ed esca per tale interesse, non potevano essere interessati a questo testo di visioni il tempo della Controriforma, con le sue esigenze di chiarezza catechetica e di rigorosa ortodossia, né il secolo dell’Illuminismo, già appagato dalle proprie certezze razionali. Il Romanticismo, preparato dalla malinconia del Neoclassicismo, doveva riattizzare l’attenzione per l’Apocalisse, anche se la produzione figurativa dell’Ottocento (Luigi Sabatelli e Odilon Redon) non risulta particolarmente entusiasmante: le sei acqueforti (1809) di Sabatelli, per la frammentarietà della scelta, il gusto dell’episodio eroico e la ricerca di teatrale drammaticità, non rendono ragione alla complessità del testo giovanneo; lo stesso deve dirsi a proposito delle dodici litografie (1899) di Redon che, con la loro carica di mera suggestione soggettiva, non sono affatto in grado di rendere l’articolazione strutturale e i valori cristologici oggettivi dell’Apocalisse di Giovanni. Nel panorama culturale del primo Novecento, ben preparato da richiami essenziali ed efficaci al dramma dei due conflitti mondiali e alla loro ripercussione nei rapporti sociali (massificazione e perdita d’identità), nella filosofia (secolarizzazione, perdita della trascendenza e nichilismo) e negli indirizzi artistici che ne furono espressione critica (Pittura metafisica, Dadaismo, Surrealismo, Espressionismo), Varisco analizza, in modo assai accurato e convincente, le venti tavole litografiche (1941) di Giorgio De Chirico e le ventisei litografie (1941) di Max Beckmann. Il primo, nel percorso inaugurato da Dürer, cerca la purezza del segno grafico, sicché la sua Apocalisse risulta più disegnata che litografata. Nella sua interpretazione, che non prende in considerazione la struttura del testo sacro, privilegia l’aspetto glorioso e ultramondano dell’Apocalisse, ponendosi dal punto di vista del male già sconfitto. All’equilibrio estetico classico di De Chirico si contrappone il tratto privo di bellezza che contraddistingue il verismo scarnificante di Beckmann. Egli rivisita il testo biblico alla luce della tragica esperienza della guerra e della persecuzione nazista. L’estetica singolare di Beckmann parte della concezione che l’arte salva dalla storia a condizione che si accetti di morire a questo mondo e ci si sottragga al fascino della sua apparente bellezza: solo a questo patto, alla luce di Cristo alfa e omega di tutta la storia, si può raggiungere il senso vero della realtà, quello dell’universale dolore dei poveri e degli umili realmente oppressi che, solo apparentemente sconfitti, sono in realtà vincitori, perché sub contraria specie sono già proprietà del Signore vivente in loro in eterno. Servendosi di schede opportunamente calibrate, il lettore viene introdotto da Varisco a una comprensione analitica dei singoli lavori esaminati. Queste schede costituiscono un pregio indiscutibile di questa ricerca, perché esse ci mettono in diretto contatto le produzioni artistiche che sono il vero oggetto privilegiato e la fonte principale di tutto il lavoro di Varisco. Le descrizioni delle singole tavole, oltre a far comprendere gli equilibrati spunti critici e di apprezzamento del lavoro iconografico esaminato, consentono di stabilire raffronti tra un artista e l’altro, senza nessuna pretesa di esaustività, ma nella ferma convinzione di avviare un discorso, per altro destinato a rimanere aperto, nella cui attiva costruzione lo stesso lettore si sente piacevolmente coinvolto. Mons. Franco Buzzi Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano
|