NOSTALGIA DELL’ORIGINE
«Nostalgia dell’origine. Questo mi sembra il fremito che attraversa l’opera di Teodolinda Varisco. Più chiaramente si dovrebbe dire nostalgia della verità, come “ri-velazione”. La verità si dà sempre nei segni e nei volti, nei gesti e negli avvenimenti, nella memoria e nel presente, negli assalti del tempo che sembra sfiorire nelle nostre mani. Essa ci appare ad un tempo maschera e invocazione, frammento e allusione del tutto, sempre presente, quasi ammiccante nelle sue forme cangianti, ma mai esauriantemente afferrabile nella piccola parte che a volta a volta si presenta a noi.
Mentre la verità si dis-vela e sembra annunciarsi radiosa e illuminante negli sprazzi di luce e di colore che attraversano soprattutto i “volti” e le “occasioni della vita” che formano la materia palpitante dell’opera della Varisco, contemporaneamente si ri-vela nel contrasto dei colori, nel tormento delle linee, nell’abbozzo degli sguardi. A questa ambivalenza della verità, che non si dà mai nella forma di un pacifico possesso, ma sempre nella forma di una custodia amorosa e sofferta, sembra dedicarsi con tenace ricerca il tratto che scava il colore e le forme sulle tele, i pannelli, i materiali utilizzati: mai tranquillo possesso, né facile cromatismo, né materia senza sfida per l’anima.
Così mentre guardi l’accavallarsi delle linee, lo scontrarsi dei ritocchi, mentre tu vedi raccogliersi l’emozione come un’impennata del colore, come un’istantanea del sentimento, ti domandi di che mano parlino, di che occhio siano rivelazione, di che ricerca siano quei paesaggi dell’anima e quei brandelli della memoria: personale e familiare, sacrale e disincantata ad un tempo. Il rincorrersi di motivi, di rimandi all’inconscio di una fanciullezza abitata da tanti volti, di una storia soccorsa da molte fatiche, di un presente attraversato dal dolore e dalla speranza ti fa pensare che la ricerca della verità sia lungo tragitto, sia tirocinio severo, sia inseguimento a caro prezzo della preda.
La verità appare dunque u-topica, letteralmente “senza luogo”. Essa si segnala più nel moto dell’anima che la cerca. E la consegna a sofferti percorsi di colore, agli occhi sbarrati e scavati dei volti, ai cromatismi non mai pacificati che vi attraversano il profilo, alle linee che li scompongono nel caleidoscopio senza fondo della vita. Lo sguardo che li fissa e la coscienza che li indaga deve attrezzarsi a ripercorrere vie non scontate, che trovino il tratto, il colore, la mano e il cuore dell’artista senza facili condiscendenze. La verità lì indicata dunque ti sfugge se la afferri, l’afferri se la lasci fuggire lievemente dietro la nostalgia di una patria che vi appare, che vi traluce, che quasi s’annuncia dentro le rughe forti che v’ha impresso l’opera dell’Autrice.
E’ nostalgia dell’origine, non d’un tempo perduto, non d’una età dell’oro, ma dell’originario, d’una patria che si possiede solo sacrificandovisi, solo nel gesto di saperla perdere per ritrovarla. E’ la patria della verità -in punta di voce si potrebbe dire persino di Dio - di quel Dio che non è facile possesso, che quando lo stringi tra mano ti sfugge, ma che quando ti abbandoni a lui si concede, forse anche nelle pieghe del dolore, ma che poi consola, rianima, risana... Per ripartire sempre di nuovo con l’avventura della vita, segnata dalla nostalgia dell’origine e della fine, della verità che sola si può possedere, lasciandoci possedere, lasciandoci custodire nel suo abbraccio benedicente».
Franco Giulio BRAMBILLA
Docente di Antropologia Teologica e Cristologia
presso la Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale.
Preside Sezione Parallela
ora Rettore della Facoltà di Teologia.