Presentazione della personale
«Scintille», Villa Camperio VILLASANTA (Mi)
SCINTILLE
«Questa
mostra è dedicata agli indifferenti, agli assenti.
Lei ci ha fatto l’onore di arrivare; noi porteremo questa mostra e
la sua presentazione in giro per l’Italia; tanti Vescovi ci attendono,
tante persone verranno dopo, in ritardo all’apertura, nei giorni a
seguire. Due parole; Ci conduca e ci illumini, Lei è un ottima interprete.
La scena è proprio alla JONESCO, aspettiamo gli ultimi...
Grazie professoressa»
«DUNQUE, TEODOLINDA SOSTIENE DI FARE ARTE PER ISTINTO ED EMOZIONE, ALTERNANDO LE SUE EMOZIONI CHE ESPRIME ATTRAVERSO I COLORI ALLA RICERCA DELLA LUCE, DI UNA LUCE CHE HA UNA VALENZA PROFONDAMENTE RELIGIOSA, QUINDI DIVINA, LEI TENDE.
Confessa però
anche che il suo maestro è KANDINSKIJ e in effetti gli elementi kandinskijani
sono presenti.
Io ho notato, già la volta precedente che Linda non ha un cammino
evolutivo normale dell’artista del Novecento che va dal figurativo,
attraverso il colore, il segno all’espressionismo; non è -dicevo-
un cammino lineare dal figurativo che è quello dell’infanzia
verso l’astratto, c’è come una spirale, l’ho definita
così, c’è un ritorno figurativo-astarzione, figurativo-
materico.
La componente materica che va al di là della versione di KANDINSKIJ e dell’espressionismo astratto è una componente importante perchè attraverso i materiali, in alcune opere, terra e fiori in alcuni, oltre alla sabbia, secondo Linda si manifesta lo spirito Ineffabile che si manifesta attraverso il materiale quindi Lei usa ed interviene sulla materia per costruire un’immagine.
Il richiamo a KANDINSKIJ direi che sia indubbio prima di tutto perchè il colore è il mezzo espressivo per eccellenza e in questo senso direi che le ultime tele sono significative, perchè Linda ha sempre usato i colori forti che urlano, i colori espressionisti anche della vena francese, quella dei “Fauves”.
Ultimamente in Autoritratto
VI, nel cerchio blu, è andata -ma anche nel penultimo, dal colore
caldo che era stato sempre il suo preferito i rossi, i gialli polari, violacei
al limite-, verso l’azzurro che è un colore freddo.
Conoscendo un pochino la persona, la sua vita, la sua storia che Lei ci
tiene proprio ad incarnare nella sua opera, “l’arte è
vita!” non è per Lei intelletto all’opposto di suo figlio
che lavora sui concetti astratti. Mi sembra di poter dire che c’è
un cammino verso la serenità.
Autoritratto V è
una delle ultime opere, fatto su cartone forato con quattro elementi di
apertura radiali, però i tagli sono parzialmente saldati attraverso
il pigmento cromatico, pigmento che lei dà sempre molto denso, tattile,
sporgente dalla tela, che dà con le dita e con le unghie, quindi
intervenendo con la sua fisicità sull’opera, non attraverso
uno strumento -spatola o pennello-.
In effetti questi tagli sono parzialmente richiusi, a me questo suggerisce,
certamente può essere un’interpretazione personale ed un po’
troppo psicoanalitica, suggerisce -dicevo- l’idea di saldare delle
fratture, di chiudere delle lacerazioni.
Ricordo un’opera, una Croce, che avevo visto ad una mostra a Legnano,
il concorso annuale di arte sacra, in cui la croce era costituita da tagli
nella tela ed era visibilmente cucita con del filo; a me questi pigmenti
che chiudono i raggi aperti danno proprio quest’idea di chiudere una
lacerazione; inoltre si va dai colori caldi -vulcanici e magmatici, li definisco
io-, verso gli azzurri elettrici, si va verso i colori freddi.
Là si arriva, mi riferisco ad Autoritratto VI, qui siamo in piena astrazione, c’è soltanto il cerchio o meglio la spirale, cerchio che gira su stesso, si arriva all’azzurro dal più intenso si va stemperando nel fondo bianco e quindi nella luce. Già questo colore mi sembra esprimere un’idea di serenità.
Elementi più datati, quadri più datati che mostrano proprio la sua matrice espressionista, nel senso più ampio della parola, Bagliori di Carità è decisamente kandinskijano col tema del cerchio e del triangolo che sono i temi di cui KANDINSKIJ i serviva per esprimere l’Infinito, lui stesso aveva scoperto questo tipo di chiave.
Mentre qui in questa Salita a Gerusalemme io vedo moltissimo l’influsso di ROUAULT con le linee di contorno nere pesanti in modo di squadrare la figura, in questo caso in fortissimo contrasto cromatico, continuamente scandito dal nero, tra i caldi e i freddi.
Ci sono poi altre opere che mostrano ulteriori direzioni diverse del percorso detto a spirale.
Quest’altro -tutti
i quadri sono forniti di un richiamo a testi biblici, di poesie, fatto anche
di collaborazione fra la famiglia di artisti- Maria, “Donna vestita
di sole” di cui parla l’Apocalisse, al capitolo dodicesimo,
la Chiesa è tradizionalmente intesa come Maria; anche perchè
Maria per l’arte è l’icona e l’immagine stessa
della Chiesa, ha un senso fortissimo di movimento perchè potrebbe
avere un cromatismo molto vario, molto più delicato, molto meno urlante
di quelli di cui che abbiamo parlato prima, che a me faceva venire in mente
addirittura KLIMT e lo Juben style con quei mosaici floreali-decorativi.
Ecco qui la direzione della ditata, non possiamo dire della pennellata,
oltre ad un fortissimo senso di movimento verso la sinistra sottolineato
da queste linee, di pigmento, che vanno verso destra, di un dinamismo, un
irrompere per così dire.
Mentre sul tema del
blu c’è questa Ascensione, tra le ultimissime opere prodotte,
che richiama ad una più vecchia raffigurazione del volto di Cristo
anche se ci sono altre interpretazioni uno era nato come il Prediletto,
GIOVANNI EVANGELISTA.
Qui effettivamente partiamo da volti diversi, dalla Trasfigurazione della
luce bianco-oro-giallo e arriviamo a questo volto che è sui toni
del blu lumeggiati di bianco è lo stesso volto che nella mia testa
continuo a chiamarla “trasfigurazione”. Quando ho scritto il
contributo critico per le pubblicazioni avevo scritto in computer Trasfigurazione
perchè inconsciamente l’avevo identificata ma la lettura con
un altro colore, di nuovo coll’azzurro, col colore della serenità,
lumeggiato di bianco, suggerisce questa serenità che si intride di
luce, che va verso la luce.
Tu lo dici era forse uno degli esperimenti fra i più curiosi: fortemente materico in cui proprio i materiali, il cartellone strappato, lo scotch logoro, una locandina di teatro ricorda Linda su un espositore, dà quest’impatto di forte sofferenza, il colore della corda, della juta, con il nero fortemente doloroso come tetro.
Mentre quest’altra
immagine fa parte di una serie che si completa di là in cui su un
volto tormentato di là poi vedremo le Prostitute, sulla immagine
della lacerazione, del dolore, del male e del peccato, della deviazione,
sopra c’è la Croce e qui si vede benissimo la sovrapposizione
cromatica del pigmento cruciforme della croce rosso-arancio dato sopra ai
pigmenti del colore più contrastato, e più drammatico, soprattutto
dei blu e dei verdi e rossi cupi. Quindi è proprio il concetto di
redenzione, di croce che redime ciò che c’è sotto.
Questi due, Prostitute e Piaga, costituiscono l’analogia dello stesso
tema: anche in questi due c’è una Croce che si sovrappone.
Nell’uno si sovrappone all’immagine della donna, della prostituta,
“le prostitute entreranno per prime nel regno dei cieli prima di voi”,
è velata -diceva Linda- coperta, ma soprattutto bianconera, triste,
sormontata da questa croce luminosa con colori di nuovo molto forti che
a me fanno venire in mente MONDRIAN del periodo americano quando si è
convertito ai colori di Broadway ed ha scelto proprio la successione che
c’è qui: il rosso, il giallo e blu, il nero ovviamente in mezzo:
elemento di stacco in questo caso il bianco-nero grigio sottostante.
La Croce è realizzata, come in altre opere che non sono presenti
in questa mostra, con terra e sabbia, e anche qui si sovrappone ad una ferita
sanguinante interpretata come una piaga -dalle interpretazioni e ascendenze
letterarie, si pensi a DINO CAMPANA-. La Piaga con altri possibili richiami
di tipo freudiano, di tipo sessuale, la Croce si sovrappone però
a questa magmatica, qui veramente sono i colori di una lava che erompe,
di sangue che erompe e sembra chiudere, guarire, coprire, questa piaga sanguinante,
questo dolore.
Qui poi c’è la serie che Linda chiama Te Deum quella in cui ha rappresentato una serie di Santi e anche di persone: dai cappuccini, a RITA da Cascia, san FRANCESCO e CHIARA, AMBROGIO, tutte le donne che hanno lavorato, “le Marte”, un maestro, BENEDETTO, tutti coloro che hanno dato lode a Dio con questa immagine di TERESINA di Lisieux a cui non ha voluto dare un volto, ha voluto, invece, comporre esclusivamente con gli oggetti: conchiglie raccolte insieme ai figli con gesso su fondo di legno.
E qui nella Foce, -è una cascata d’acqua e qui c’è tutto il tema dell’acqua, acqua-vita, acqua che rigenera, tema giovanneo, che richiama il passo di EZECHIELE 47, qui il tema fondamentale che da GIOVANNI influenza e intride tutta l’arte cristiana, dell’acqua che rigenera, la cascata che esce, il fiume che sfocia, che ha degli effetti tecnici originalissimi, perchè il colore è stato parzialmente ricoperto con colla che lo ha vetrificato. In effetti qui bisognerebbe spostarsi un momento e orientare, spostare il quadro per notare, meglio leggere, la vetrificazione che dà una lucentezza particolare in questi punti
L’Ineffabile con arbusti è l’opera da completare in questa sede, qui deve ancora intervenire Linda con il colore sulla pura materia con del plexiglas, per fermare, per bloccare, non dico cristallizzare, perchè è una brutta parola (più da indifferenti...), per fermare questo in materia.
Francesco graffiato e calato nella natura -ci dice Linda- non con i colori più abituali di Linda che sono i colori più magmatici, ma con i colori della natura che sono i verdi ed i marroni.
Un immagine di CRISTO sorridente, un’immagine radiosa, un Sacro Cuore, di CRISTO nella esplosione dei colori solari dal giallo verso il viola che sembra portare il sorriso nella luce, e man mano che questa si espande e si diffonde anche un’immagine di gioia -diceva prima Linda non l’ho voluto con la corona di spine l’ho voluto come immenso amore che è Dio ed è un discorso trinitario profondo- questa successione di colori se anziché essere in successione fossero in sovrapposizione avremmo il colore dell’aurora, e cioè il colore indescrivibile che è il colore del Divino nell’Icona. L’aurora nell’Icona Bizantina è proprio la somma di questi stessi colori ed è il colore indefinibile che esprime l’Inesprimibile-Ineffabile.
Gli indifferenti sono invece le sagome, la mostra è dedicata agli indifferenti, a coloro che passano, non guardano, dice TEODOLINDA io non mi ricordo, io non c’ero, tiriamo avanti; ci sono sagome fantasmi, fantasmi su carta velina che si collocano sui passaggi. L’artista non ha voluto calcare la mano, quindi è stato un intervento soft; ma come vedete gli indifferenti, queste fuggevoli ombre chiare, sono tutti sulle porte, sono nel mezzo ad impedire la comunicazione e attraverso la indifferenza, la porta, la comunicazione non passa! Gli indifferenti sono sulle porte ed impediscono di vedere fuori, sembra che l’indifferenza interrompa tutte le comunicazioni».
Prof.
GABRIELLA CATTANEO
Docente
di Storia dell'Arte Sacra, Facoltà di Teologia dell'Italia Settentrionale