Gesù Cristo unico Salvatore del mondo?
Pluralità delle religioni e ricerca teologica

(ALESSIO VARISCO)


«Ci sono eredità poetiche che sono un grande dono;
ma di norma i lasciti hanno una somiglianza sospetta con le svendite per
cessata attività e per saldi».
(ROBERT MUSIL, Prefazione a Nachlass zu Lebzeiten, 1936, Hamburg)

Interamente scritto e composto in Engadina a Sils Maria nel dicembre 2001.

 

INDICE

1. INTRODUZIONE ALLA PLURALITÀ DELLE RELIGIONI


2.1. PANORAMA SINCRONICO
2.2. PANORAMA DIACRONICO


3. CONCLUSIONI

• BIBLIOGRAFIA

 



1. INTRODUZIONE ALLA PLURALITÀ DELLE RELIGIONI

Il XX secolo ha dato all'umanità un gran numero di personalità di grande spicco, il cui contributo ha accresciuto lo sviluppo delle materie sociologiche; è in questa epoca infatti che nasce l’esigenza di argomentare le “modificazioni” della società . La storia delle dottrine teologiche mostra dai primi secoli della Chiesa una particolare attenzione all’elaborazione di categorie di lettura interconfessionale , ma è solo dal secolo appena passato, definito dagli storici “breve”, e contraddistinto dalla speculazione scientifica in ambito umanistico, che si assiste ad un susseguirsi di avvenimenti che hanno creato nuove e sempre più puntuali -e specifiche- discipline .
Sorgono la “sociologia delle religioni” e la “psicologia religiosa” come strumenti di lettura del macrosistema “globalità” (uomini nel mondo) e microsistema “personalistico” (il singolo rispetto l’interiorità del noumenico).
Dal punto di vista storico il XX secolo è il periodo della Grande Guerra Civile che ingloba e manifesta infrastagliati conflitti che vedono le fasi topiche nell’espressione delle due guerre mondiali e nelle molte crisi che accompagnano il problema mediorientale. La costituzione dello stato d’Israele determina il riconoscimento geografico di un’identità anche religiosa a scapito di una problematica gestione dell’intricato malcontento post-coloniale di molti paesi a maggioranza islamica. Si assiste alla guerra fredda fra due blocchi occidentali e orientali, scontratisi istituzionalmente in più riprese ma mai militarmente nemmeno nelle molteplici “crisi” .

In molti “lettori” delle vicende terrene resta comunque l’irrefrenabile tentazione di spostare la dissertazione su un’ottica più “religiosa” ponendo come basi di lettura degli avvenimenti mondiali l’appartenenza etnica ad una religione. Perciò -anche noi nel corso della presente trattazione- porremo il «quid» orientandolo verso la religiosità e la necessaria richiesta gnoseologica di ciascun popolo di elaborare la sua fede, ma in un’ottica più particolare di mera sociologia religiosa verso una “teologia delle religioni”.
«Il mondo si è contratto in se stesso che non vi è più alcuna distanza che lo divida... L’uomo moderno ha superato ogni distanza» .
Noi sappiamo che grazie ai mezzi di comunicazione si è costituito un enorme “villaggio globale”, definizione iniziata da McLuhan . L’idea di un grande villaggio pone il problema della “religiosità” dello stesso. Di qui la nostra indagine.
Divenuto “globale” questo villaggio, non possiamo eluderne le identità religiose che ci stanno intorno. Assumendo come verità il modello esposto dall’antropologo Mircea Eliade entriamo nello specifico analizzando l’«homo religiosus», superamento e completamento dell’«homo faber».
Multiculturalità significa non interculturalità ma anche multireligiosità. Di qui l’esigenza di una linea teologica che aiuti a comprendere le intricate dogmatiche delle singole confessioni non chiuse ma “aperte”. Un pioniere della modernità a questo punto è il filosofo Popper che teorizza il sistema sociale moderno nel suo testo «Società aperta», un’analisi puntuale della complessità dell’oggi fatta di
«fattori di comunicazione e di interdipendenza tra i diversi popoli e le diverse culture hanno prodotto una maggiore coscienza della pluralità della religione del pianeta» .
Che cosa significa il termine “teologia delle religioni”? Già Paolo VI nella sua «Nostra Aetate», promulgata il 23 ottobre 1965 iniziava quel lungo percorso che si chiama «Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane»; di qui nacque l’esigenza sempre più fondata di dar spazio ad una teologia delle religioni mediante la quale
«con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede, alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire (agnoscat, servent et promoveant) i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi.» .
Il passo emblematico -la più grande realizzazione di teologia delle religioni- è essenzialmente la “Preghiera per la pace” del 27 Ottobre 1986 ad Assisi ove partecipano i leader di tutte le religioni unitamente al Pontefice GIOVANNI PAOLO PP. II. E’ questa la massima espressione della cooperazione fra cristiani, ebrei, buddisti, induisti, musulmani, amerindi e religioni africane per quel dialogo promosso dal Vaticano II.

Strumenti fondamentali per realizzare il dialogo di confronto sono le seguenti discipline che apportano e strutturano la disciplina della Teologia delle religioni: storia, sociologia, psicologia, filosofia e teologia. Questa sinergia di discipline facilita -effettivamente- una adeguata e profonda riflessione sulla dimensione storica, psicologica e sulla portata sociale. Compito principe
«determinare il contenuto essenziale delle religioni, la verità della religione ... il significato dell’uomo» .
Uno dei fini primari è di aiutare a comprendere anche la nostra Rivelazione nella dialettica con le altre confessioni , oltre a studiare e meglio analizzare il significato delle religioni interpretandole alla luce della Parola di Dio. Essa è un ramo -abbastanza recente la sua istituzione- della Teologia, che si muove nell’«esperienza contemporanea del mondo e dell’uomo» . Essa si è sviluppata da quella diffusione della funzione -cosiddetta- “dialogica” fra le differenti confessioni.

Concludo con una riflessione del teologo-pittore Franz Marc che nel suo articolo sulla volontà di ricerca di ciascun uomo della trascendentalità nel suo “Der Blaue Reiter” esprime la stessa gioia espressa dal tentativo di dialogo iniziata e trasmessa dall’intento del Vaticano II e dell’incontro in Assisi dell’86:
«S p e z z a r e l o s p e c c h i o d e l l a v i t a p e r g u a r d a r e nell’ e s s e r e!» .

2.1. PANORAMA SINCRONICO

Da sempre la confessione cristiana ha dovuto fare i conti con un confronto con le altre religioni; si pensi all’ebraismo, di cui nei primi anni dopo la morte del Maestro è considerata una sorta di “eresia” semitica od al tragico rapporto con le confessioni pagano-romane e alle guerre con l’Islam, per approdare a guerre interconfessionali quali quelle che hanno sconvolto il Vecchio Continente. Ma l’affermarsi della “missiologia” e l’esigenza di una costruzione positiva di una disciplina di “inculturazione” si ha con la scoperta dell’America ed il Colonialismo. Pochi giorni orsono il Santo Padre ha inviato via e-mail una Sua Lettera alle Chiese ed alle popolazioni del Continente australe ed agli arcipelaghi per i torti compiuti verso gli aborigeni. Appare evidente quanto la Chiesa abbia patito ma anche fatto patire . Intento della ricerca teologica è l’espressione nell’ambito del contesto della pluralità delle religioni e del tentativo di conciliazione nella teologia delle religioni di un panorama sincronico. Compito di ciascun cristiano è di «essere un missionario» , di compiere il “dialogo” che è
«la nuova parola d’ordine... i cristiani sono “testimoni” e sarebbero a disagio se non si sentissero migliori dei non cristiani e se non avessero il coraggio di confessare la loro fede e non sentissero il peso di tutto il mondo (missione)» .
L’urgenza che si affaccia è sulla tendenza che prende le mosse sull’universo ecclesiocentrico e cioè sull’appartenenza ai dettami della guida che è il Vangelo.
Una seconda tendenza, che ha il suo fondatore in K. Rahner, elabora un’ottica eminentemente cristocentrica .
Abbiamo -sempre secondo Schinneler- una terza ottica che invece connota un “universo teocentrico” ove possiamo situare -al suo interno- una teologia della “rivelazione piena” e quindi normativa ed un’altra per la quale Dio si è rivelato nelle diverse religioni e perciò non è “normativo” considerare l’evento Incarnazione di Cristo, Dio incarnatosi e manifestatosi all’uomo.
Inoltre un altro studioso P. Knitter, sulla linea precedentemente additata da Schineller, elabora una sua ulteriore catalogazione per modelli : “evangelico conservatore” entro cui esiste l’unica salvezza in Cristo; “protestante diffuso” secondo cui le salvezze sono operate da Cristo; il “cattolico aperto” che definisce “vie” le altre religioni ribadendo l’unicità della norma che è Gesù; ed un’ultima “teocentrica” che consente e dichiara molteplici le vie per arrivare a Dio, tenendo salda l’assoluta primarietà nel centro che è Dio. Queste posizioni possono essere ridefinite “quattro categorie” secondo H.R. Niebuhr, ponendo in simmetria le due mappe di Schineller e di Knitter. Appare evidente il quadripartitismo della classificazione che però sembra si stia dirigendo verso un tripartitismo. L’ecclesiocentrismo diviene paradigma dell’esclusivismo, mentre il cristocentrismo dell’inclusivismo; il teocentrismo è sostenuto invece dal pluralismo . Ma è Dupuis che definisce i “paradigmi” entro cui muoverci
«trattasi di principi di intelligibilità, di chiavi di interpretazione complessiva della realtà, che opponendosi le une alle altre si escludono a vicenda. Non è possibile sostenere allo stesso tempo.... una visione del mondo tolemaica ed una copernicana» .
Secondo J. Dupuis la Chiesa è «un mistero derivato, relativo, che trova in lui la sua ragion d’essere» . Questo è un cambiamento in sintonia con le Scritture rispetto le precedenti visoni della Chiesa. Mentre il secondo mutamento di paradigma è insito nel passaggio dal cristocentrismo al teocentrismo, meglio detto “pluralismo”. Se il passaggio dall’ecclesiocentrismo al cristocentrismo è proveniente dalla Scrittura, quello dal paradigma cristocentrico a quello teocentrico si presenta molto intricato. Le maggiori problematiche provengono dal profilo teologico che di fatto nega la dimensione universale e quindi della mediazione salvifica di Cristo e della mediazione salvifica di Gesù che si è fatto uomo ed ha posto la sua dimora fra noi.

L’esame biblico è fontale per poter stabilire i criteri di approfondimento della Scrittura e del dato “Rivelazione”. La visione sincronica permette di poter analizzare l’altro “panorama” e cioè quello diacronico nel quale le varie correnti si sono rivelate.

2.2. PANORAMA DIACRONICO

Opportuno come criterio di avvicinamento a questo panorama l’analisi del cammino condotto dalla teologia nel sec. XX al fine di poter individuare le basi per questo modello di panorama. Dividerò le esposizioni del trattato per fasi:
1. Quella dell’inizio del Secolo appena trascorso si presenta contraddistinta da un atteggiamento rigorosamente apologetico. Tra il 1919 ed il ‘23 appaiono con la firma di Billot diversi articoli sulla rivista “Études” sotto il titolo generale di : «La Provvidenza divina ed il numero infinito di uomini fuori della via normale della Salvezza». In questa serie di suoi contributi prende in analisi “l’infinito numero di uomini” che sono morti e muoiono senza credere nel Vangelo. Giunge alla convinzione che come i bimbi che muoiono senza aver ricevuto il battesimo così gli uomini “non-cristiani” non sono per questo deputati alla dannazione. Coevo di Billot, dal versante protestante, risponde alla medesima interpellanza Barth coll’analisi della Lettera ai Romani di San Paolo di Tarso. Il teologo svizzero esamina dettagliatamente lo scritto fino a giungere alla conclusione che nessun uomo può raggiungere la Salvezza se non per mezzo di Gesù Cristo; altresì che la religione che non cerca Giustificazione nel Vangelo è aliena al piano salvifico ed è l’espressione dell’incredulità. I suoi discepoli poi applicano la “teologia dialettica” alle religioni concrete incontrate nel campo della missione. Nonostante la sua formulazione risalga al secondo decennio del Novecento non è del tutto scomparsa; essa gode della stima di molti teologi che continuava i loro lavori utilizzandola come strumento, presentata dall’evangelicalismo del “Manifesto di Manila” del 1989; in ambito cattolico la ritroviamo nell’interpretazione esclusivista propugnata da Leonard Feeney dal Sant’Uffizio contro l’Arcivescovo di Boston: «extra ecclesiam nulla salus!». Quest’esclusivismo “puro” è ancora accettato da H. Van Straelen che afferma:
«la Chiesa ha sempre insegnato che, per essere salvato, l’uomo deve accettare il messaggio del Vangelo!» .

2. In ambito cattolico il periodo che prepara il Vaticano II è costituito da quel rinnovamento teologico iniziato precedentemente. L’esigenza fondamentale è la conoscenza delle altre religioni, numerosi gli studi su questi argomenti. Aspetti dell’analisi del trascendente, della persona e della storia. Si configura come un “villaggio globale” in cui riescono a “con-vivere” le tradizioni religiose.
Dall’urgenza di mappare la Chiesa che vive nella fede del Vangelo -problema già studiato da Barth- si sviluppano due posizioni: a) Daniélou elabora la “teoria del compimento” (tutte le religioni sono espressione dell’uomo che tenta di ergersi verso l’assoluto) ossia dell’«Homo naturaliter religiosus» e si considerano le diverse espressioni religiose delle espressioni naturali della trascendentalità umana; b) una seconda che ha il caposcuola in K. Rahner ove le varie religioni costituiscono interventi specifici in Dio realizzati nel Suo Figlio. Hanno così svolto un compito positivo le religioni esistenti prima della venuta del Messia, ponendo una vera “praeparatio evangelica”. E ne conservano questa funzione nella relazione col mistero di Cristo. L’uomo dunque può incontrare Dio solo mediante Gesù Cristo:
«in sostanza afferma la presenza salvifica di Dio nelle religioni non-cristiane, ma al contempo sostiene che Cristo è la definitiva ed autorevole rivelazione di Dio» .
Opera, nelle religioni, il Risorto; le religioni assurgono ad una tipizzazione spirtituale-soprannaturale.
«in forme variabili [...] costituisce probabilmente la posizione oggi più largamente accettata dai teologi, sia protestanti che cattolici.» .

3. Dagli anni ‘70 si configura una nuova linea di lettura che mira a comprendere -nel panorama delle scienze teologiche della religione- il significato delle molteplici religioni cercando una rinnovata linea teologica. La molteplicità delle religioni è un semplice dato di fatto , oppure la già affermata in linea di principio del “pluralismo de jure”. L’uomo accoglie gli elementi per vivere nella religione attraverso la quale a sua volta accoglie il dono divino della Salvezza; ed il termine «pluralismo» richiama al fatto che Cristo è “ponte” per unirsi a Dio
«Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze, è il punto focale della storia, è il centro dei desideri di tutti i cuori. Gesù è il vero uomo, il fratello insostituibile, l’unico d’ogni fiducia e amore... Gesù è la Parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime. Gesù è per tutti, per ogni singola anima, per ogni singolo popolo. Gesù è necessario: senza di Lui non si può vivere. Gesù è sufficiente: basta Lui alla nostra guida suprema, alla nostra sapienza ultima, alla nostra salvezza eterna. Gesù è la sola religione. Gesù è la sicura e definitiva Rivelazione di Dio. Gesù è il solo ponte fra noi e l’oceano di Dio. Gesù è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la Vita!» .
Sappiamo che le varie religioni conducono a Dio e che, insieme al cristianesimo, esse
«rappresentano altrettante vie che conducono a Dio, ognuna delle quali possiede, nonostante le differenze, eguale validità e valore.» .
La prospettiva da ecclesiologico-cristologica diviene esclusivista. Siamo nell’ambito della teologia pluralistica in cui si sviluppa il teocentrismo. In questo campo dobbiamo altresì dividere in:
a) “Pluralismo relazionale” corrispondente alla “cristologia normativa” (tipologia introdotta da Schineller) ove l’assolutezza del dato rivelato è nell’incarnazione di Gesù. Panikkar distingue tra la dimensione cristica e la realtà storica di Gesù nel suo “The unknown Christ of Induism”, testo pubblicato nel 1967. Questo “mistero” è presente nelle diverse religioni come: Rama, Krsna, Isvara, Purusa. Per noi cristiani il mistero ha nome Cristo. Per Geffrè invece il valore simbolico della Croce e della Risurrezione rivestono un ruolo primario.
«La verità non è né esclusiva, né inclusiva, di ogni altra verità; essa è relativa a ciò che di vero c’è nelle altre religioni.» .
Prosegue affermando nel corso della sua trattazione che non vi è definizione «al di fuori della Croce di Cristo come figura dell’amore assoluto» . Gesù è “unico” ed universale. Un altro studioso, Duquoc, è mosso dalle stesse preoccupazioni e la particolarità caratterizza l’autocoscienza della Chiesa.
«Dio non assolutizza una particolarità: manifesta invece, che nessuna particolarità storica è assoluta, e che in virtù di tale relatività, Dio si può raggiungere nella nostra storia reale.» .
Il Risorto non viene annunciato solo nella particolarità, entro la storia, ma è il Figlio «inteso come Parola».
b) “Pluralismo relazionale”, quello cosiddetto “relativista” hickiano, che tenta di rappresentare Cristo come criterio normativo nei confronti delle altre confessioni. Egli è il “telos”, la “realtà ultima”; scopo della ricerca
«l’orientare dall’ego-centralità alla Dio-centralità o alla Realtà-centralità. [...] L’evento-Cristo è la Fonte unica ed esclusiva della salvezza umana» .
Si sviluppa su quest’ottica una schiera di autori che concordano in questo teocentrismo, nuovo paradigma di ricerca, tra cui: Race, Knitter, Samartha. Interessante la ricerca condotta dal secondo che afferma:
«La teologia della liberazione delle religioni cristiane, deve proporre come terreno comune o punto di partenza per l’incontro religioso non il “Theos”, il Mistero Ineffabile del divino, bensì la “soterìa”...» .

Tra i teologi pluralisti occorre menzionare J. Hick, in un panorama stracolmo di “inclusivisti”, rifiutano l’alternatività stabilita tra paradigma cristiano e teologico, mettendo in evidenzia l’insostenibilità della tesi. Le osservazioni di L. Newbigin ci aiutano a meglio comprendere il procedere tra la scienza e seguito dai teologi pluralisti.
«La parte scientifica della nostra cultura continua a fiorire perchè non accetta il pluralismo. [...] la proposta di separare la ricerca dalla “salvezza” dall’impegno di distinguere la verità dall’errore, sia un segnale dell’approssimarsi della morte di una cultura.» .
Newbigin osserva che il XX secolo è disseminato di tristi dimostrazioni; il carattere unico del Vangelo è la sovrana ed assoluta forma del Creatore ed è pensato nella forma di un uomo crocifisso. La verità ha delle implicazioni positive e negative, ciò implica che l’accettazione debba condurre ad un approfondimento della verità e delle pretese di negarla le quali non conducono a verità ulteriore.
G. D’Costa nella sua opera sulla teologia pluralista apparsa ad Oxford nel 1986, in cui pone al centro della riflessione due assiomi fondamentali della fede cristiana: a) volontà salvifico-universale (1Tm 2,5); b) mediazione di Cristo (espressa in 1Tm 2,5). La posizione “esclusivista” ha il suo rappresentante in Kraemer che fonda i suoi studi sul secondo assioma; necessario, per il raggiungimento salvezza, la mediazione di Cristo. Il pluralismo si fonda sul primo e trascura il secondo invece; dunque le due prospettive sono diametralmente opposte. Il più attestato rappresentante è K. Rahner, in grado di equilibrare i suoi due assiomi
« La forma di inclusivismo che ho sostenuto tenta pienamente di far onore ai due assiomi cristiani più importanti: che la salvezza viene solo da Dio nel Cristo e che la volontà salvifica di Dio è veramente universale» .
Tra i pluralisti va ricordato J. Dupuis ed il suo libro il cui titolo si ispira al tema della Dichiarazione della Tredicesima Riunione Annuale dell’Associazione teologica Indiana del dicembre 1989 «Verso una teologia crisitano-indiana del pluralismo religioso: la nostra incessante ricerca». Egli osserva che la vera problematica è nell’accettazione del pluralismo religioso che deve esser accettato come realtà “de facto” e teologicamente
«come esistente “de jure”... Ai limiti innati ed inevitabili di ogni apprensione umana del Mistero divino». Dupuis prosegue affermando che è inoltre necessario «fondare una pluralità di principio su una visione della religione come null’altro che una ricerca umana del Divino» . Altresì «la religione deve ricercarsi in una automanifestazione divina agli esseri umani.» .
Questa prospettiva appare in linea con la Scrittura e continua affermando che il principio pluralistico
«troverà il suo fondamento primario nella sovrabbondante ricchezza e varietà delle automanifestazioni di Dio all’umanità. [...] Il pluralismo religioso di principio si fonda sull’immensità di un Dio che è Amore.» .
L’unicità di Cristo è definita: “costitutiva relazionale”; questa però non può esser interpretata come assoluta, è «volontà salvifica di Dio» . Cristo essendo unico è “costitutivo”; dice l’Autore
«l’evento storico nel suo farsi carne di Dio segna il più profondo e decisivo coinvolgimento di quest’ultimo nelle sorti dell’umanità [...] risorta in Gesù. Esso è dunque [...] nel tempo ed universalmente nel significato; [...] “singolarmente unico”, e nondimeno in relazione con tutte le altre manifestazioni divine all’umanità in un’unica storia di salvezza; vale a dire: relazionale.» .
«Risulta possibile superare non soltanto il paradigma esclusivista, ma anche quello inclusivista, senza tuttavia far ricorso al paradigma “pluralista” basato sulla negazione della salvezza “sostitutiva” in Gesù Cristo. Il modello della cristologia trinitaria, l’”illuminazione” universale da parte del verbo di Dio e la vivificazione da parte del suo Spirito, rendono possibile scoprire in altre figure e tradizioni salvifiche verità e grazia non esplicitate con lo stesso vigore e chiarezza nella rivelazione e manifestazione di Dio in Gesù Cristo.» .
L’aspetto più interessante della prospettiva adottata da Dupuis pone in luce la complementarietà tra cristianesimo ed altre religioni che rende possibile quella convergenza che consente il dialogo interconfessionale e lo sviluppo dell’ecumenismo. Appare una linea che magnifica la “convergenza-complementarietà” che è compimento del regno di Dio. Si realizza quella «compiutezza finale comune del cristianesimo e delle altre religioni.» .


3. CONCLUSIONI

A termine della presente analisi occorre precisare che si distinguono due posizioni, già emerse nel corso della trattazione, riguardanti la linea “costitutiva-relazionale” e “pluralistico-relazionale”.
Rispetto la linea di Dupuis bisogna sottolineare le molte cristiche mossegli da suoi colleghi, uno dei quali scrive:
«A noi pare che tale visione non sia esente da equivocità come nel sostenere una pienezza qualitativa in Cristo che sembra, di fatto, corrispondere più ad una valenza quantitativa che sostanziale [...]. Probabilmente la radice di questa posizione è situata nell’ipotesi che il verbo sia qualcosa d’altro e di più di Gesù Cristo[...]. Se così fosse non saremmo distanti dall’idea della “eccedenza del Logos”, quale spazio dello Spirito che consente ad ogni religione la propria assolutezza salvifica, e la tendenza ad una pienezza da nessuna ancora realizzata. Un simile presupposto potrebbe sottrarsi con difficoltà al sospetto di una distinzione/separazione all’interno dell’unica persona del figlio di Dio incarnato, nel solco della controversia nestoriana, rischiando di confluire verso le conclusioni delle note posizioni pluraliste, nell’ambito della teologia delle religioni. In questo caso si richiederebbero più spiegazioni e correttivi di quanti non se ne esibiscano con chiarezza ad un primo impatto» .
La posizione comunque assunta dal teologo gesuita, che si riconosce nella linea dell’inclusivismo, si pronuncia però in modo “relativista” (in Hick il massimo esponente). Il “paradigma inclusivista” afferma che la salvezza di Cristo risorto raggiunge tutti gli uomini; ciò non significa che le religioni siano prive di autonomia, bensì “direttamente” connesse ad un fatto particolare della storia. La sorgente è nel Dio che ha risuscitato il Cristo e che chiama tutti gli uomini a partecipare della Risurrezione del Figlio. Questo dato è paradigmatico nella ricerca biblica dello sviluppo missiologico di prospettive bibliche per una teologia delle religioni.
La teologia delle religioni può dunque trovare una luce che illumini l’intelligenza della fede stessa, che mostri le risposte alle domande che sorgono dalla esperienza e dalla storia.

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