"Guernica.
Un pezzo su di un Venerdì Santo
nella storia"
Pablo Picasso è “personaggio simbolo” nel panorama
artistico del Novecento, per quasi un secolo di pratica nelle
arti figurative-plastiche. Caratteristiche dell’artista catalano
indiscutibilmente la spregiudicatezza espressiva e la libertà
creativa che brucia e consuma in un fuoco divoratore, prestandosi
allo scandalo facile se letto nell’ottica conformista borghese.
Picasso è indubbiamente l’espressione più autentica
dell’arte contemporanea. Dal punto di vista ideologico e spirituale
è interessante rilevare che
«avrebbe potuto decidere le sorti della nuova poetica...
non è mai diventato calvinista, è rimasto cattolico,
magari per togliersi il piacere di bestemmiare. Ha risposto
da spavaldo: io non cerco, trovo. La più famosa, ma
moralmente la peggiore delle sue battute»[i].
Straordinario, infaticabile, lungo, poliedrico e ricco lavoro:
le più ovvie aggettivazioni all’iter artistico di un
personaggio che rivoluzionò l’arte moderna; Picasso
rappresenta quasi l’opera sintetica di molti secoli. Proviene
da una cultura artistica figurativa, a Barcellona fonda con
l’amico Soler la rivista “Arte Jovén” ed inizia in
quegli anni il suo periodo che la critica suole definire “periodo
Blu”, H. L. Jaffé dirà:
«Il suo blu che non è solo un colore, ma che
crea un ambiente in armonia con i soggetti. [...] i respinti
della società, mendicanti, cantanti, girovaghi e ciechi»[ii].
In Palazzo Reale a Milano si è svolta da poco un’esposizione
di duecento capolavori picassiani che espongono le origini
di un artista che vibra della solitaria e rassegnata malinconia
dei poveri raffigurati nelle sue tele. Una pittura-speculazione-sociale
quella del Picasso dei primi del Novecento.
Dal 1904 si trasferisce a Parigi al Bateau-Lavoir e modifica
il suo rapporto con il mondo e le cose. è il “periodo
rosa”, segnato dalla vicinanza e dalla conoscenza di molti
artisti tra i quali Apollinaire, Gertrud e Leo Stein, oltre
al pittore Matisse. Il soggiorno parigino di quegli anni esprime
una rasserenata pacificazione tra l’artista ed il mondo che
lo circonda; nuovo, pacifico, disteso il rapporto con la vita
che lo spinge ad una nuova concezione formale.
Nel 1906-7 si assiste ad una modifica ancora più radicale,
quasi totale, forse sotto le spinte delle sue ricerche verso
la scultura iberica primitiva e l’arte africana. In questi
anni realizza opere rivoluzionarie come “Ritratto di Gertrud
Stein”, una forma ritratta serrata, bloccata, che prelude
l’opera chiave “Les demoiselles d’Avignon”, manifesto del
cubismo,
«nella storia dell’arte moderna, la prima vera grande
rottura»[iii],
figurazione emblematica nella sua compatta struttura plastica
che esclude la distinzione fra spazio e forme.
Picasso insieme al pittore Braque porta avanti un “Cubismo
analitico” ove la continuità fra l’oggetto dipinto
e lo spazio diviene assoluto pentagramma della composizione
pittorica. Le immagini abbozzate, tagliate, paiono scolpite,
incise tra lo spazio o sottratte a questo; e le figure si
fanno nel e dal vuoto materia, assumono solidità, ribalta
tutta la superficie oggettivandola quasi totalmente.
Nasce nel 1913 un’elaborazione del precedente stile, il “cubismo
sintetico”, che fa ricchezza “papier-collé” di Braque;
è il collage che diviene di diritto parte del quadro,
trascinando con sé frammenti della realtà fattuale,
coniugando nella pittorica un ermetismo quasi “cifrato”, criptico,
che diviene scrittura sulla tela.
Gli anni che seguono questo periodo vedono Picasso attento
a comporre quanto iniziato: tematiche e stili sempre diversi
per una continua instancabile ricerca, alternando un
«realismo di tradizione ad un neoclassicismo dai volumi
bloccati, nella chiusura compatta delle masse»[iv].
Dionisiaco il periodo delle “Bagnanti” che risolve con superba
monumentalità la violenza emozionale e quella affannata
ricerca -istanza generale sottesa in gran parte della figurazione
picassiana- del “ritorno all’origine” del tempo.
Mitologica l’immagine terrificante e drammatica di “Guernica”
«Un grande quadro storico fuori stagione, un quadro
definitivamente classico, un Poussin deformato, schiantato,
esploso, ma con una struttura di Poussin»[v].
Questo quadro è una drammatica rappresentazione del
1937, della situazione politica di rottura, dopo il minaccioso
riarmo tedesco ed il colpo italiano in Etiopia, l’Europa democratica
e borghese inerme assiste all’aggressione del governo fascista
spagnolo. Il timore della violenta rappresaglia spagnola però
è più debole del malcelato interesse qualunquistico
della paura di un’accelerazione delle controreazioni proletarie
ed il conseguente incardinarsi che avrebbe potuto realizzarsi
in Spagna e poi altrove. Perciò l’Europa democratica
diviene torbida spettatrice, correa dell’ingiustizia, per
timore del dilagarsi della controffensiva proletaria. Parigi
apre in quei giorni l’Esposizione Internazionale dedicata
come sempre al lavoro, al progresso e alla pace.
La Spagna repubblicana vi partecipa con due architetti razionalisti
e avrebbe dovuto completare l’esposizione l’acclamatissimo
Picasso, ormai universalmente acclamato come genio artistico
del secolo, con un murales. Picasso d’altro canto si era già
schierato politicamente dall’anno precedente con la partecipazione
“Sueño y mentira de Franco” con due serie di incisioni.
Ma in aprile Franco ordina ai bombardieri tedeschi di attaccare
l’antica città di Guernica per spaventare la popolazione
civile. Fu una strage.
«Di colpo decide che il suo dipinto sarà la
risposta alla viltà ed alla atrocità dell’eccidio.
Nasce così, in poche settimane, “Guernica”, che può
dirsi l’unico quadro storico del nostro secolo»[vi].
L’opera crea nel mondo dell’arte un “unicum” e diviene perciò
“precedente”, “modello” per molte altre tragiche denunce,
ben illustrate qualche anno fa in Palazzo Ducale a Genova
nella mostra «L’arte della libertà»:
«è il primo deciso intervento della cultura
nella lotta politica: alla reazione, che si esprime distruggendo,
la cultura democratica risponde per mano di Picasso, creando
un capolavoro»[vii].
L’opera diviene la bandiera per tutti gli intellettuali democratici
che eserciteranno pressione sui governi democratici acché
finalmente sia garantita e difesa la democrazia. é
per Picasso l’inizio di un successo non solo critico -già
tributato-, ma anche ideologico.
«Il toro ha scatenato la prepotenza. Guarda arrogante
dall’angolo del campo il suo cataclisma e sbatte tronfio la
coda come il fazzoletto della Medusa. Toro di tirannide e
mollezza. Il cavallo della nostra difesa è stato trafitto
e frantuma nello spasimo il guerriero. Ci resta solo il pianto
delle donne sui figli che più non saranno, ci hanno
lasciato lo sbigottimento di uno sguardo atterrito sotto la
debole lampada, e le corse per una speranza infondata. E tutto
si muove esagitato in questi otto metri di tela grigia come
la guerra. Tutto spasmodicamente teso che potrebbe scoppiare
ad ogni momento»[viii].
Non è avventato leggere in quest’immagine una lucida
illustrazione del libro dell’Apocalisse, mediante l’eccidio
perpetrato a Guernica, qui però “caricato” delle valenze
storico-politiche. “Guernica” ha la stessa detonazione della
figurazione cinquecentesca del Giudizio Universale della Sistina:
Michelangelo con il suo genio interviene nella scottante problematica
della tesi cattolica della responsabilità in opposizione
alla predestinazione protestante. L’opera picassiana è
matura, responsabile e autoritaria non meno delle “Demoiselles
d’Avignon”, spinge ancorpiù a parlare, a divenire megafono
per comunicare a tutti la tragicità contemporanea,
alla stregua dell’illustrazione dei “Cavalieri dell’Apocalisse”
di Dürer. La tela
«come per un impulso a tutti nei modi più piani
e diretti, quasi inconsapevolmente rievoca l’apocalittica
“Guerre” del Doganiere Rousseau»[ix].
La lucidità dell’autore è sbalorditiva. Con
freddezza dipinge una tela di 3,54x7,82 metri -ora conservata
a New York presso il Museum of Modern Art- non descrivendo
o raffigurando l’intervento come Delacroix in “Strage di Scio”.
«Non ricorre ad accenti oratori, drammatici, patetici.
Non supera la realtà storica in visione simbolica o
allegorica»[x].
L’intenzione di Picasso non è creare sdegno, o denunciare
il misfatto dittatoriale fascista, bensì rendere presente
l’eccidio nella coscienza del mondo che si proclama civile
per non permettere altri errori, per reagire energicamente.
Il compito dell’opera è allora quasi catechistico:
sviluppare una forza di suggestione non scaturente dal soggetto
contenuto (“la cronaca del giorno”) ma dalla forma. Perciò
la «forma», espressione più alta della
società occidentale, è in crisi perchè
«segno» del più profondo ed universale
disagio.
L’utilizzo del monocromato di neri e grigi non è ad
aumentare la tragicità. I toni, all’apparenza cupi,
sono animati da una vivida e lugubre continua luminosità
afona che esaspera la composizione depauperandola dei colori
-immoti- che paiono essere andati via. Le linee immote ne
disegnano i contorni, delimitano piani vuoti destinati a rimanere
spogli, poiché i colori sono scivolati.
«Il rilievo non c’è, è andato via. Il
colore e il rilievo sono due qualità con cui la natura
si dà percezione sensoria, si fa conoscere»[xi].
Separando il colore ed il rilievo si opera un taglio nel
rapporto uomo-mondo: non vi può più essere natura
o mondo. E’ subentrata la “Morte”[xii].
La figurazione è perciò “de-strutturata” perchè
non rappresenta le sembianze della vita o della natura; è
ormai il tempo del termine naturale della vita stessa, il
suo opposto: la morte.
Nell’ambito della cultura andalusa il “caballo” è
annunciatore di Morte se fulvo[xiii].
«Sentii la roccia sollevarsi e salutare le mie ossa.
Mi domandai se in quella valle ci fosse qualche scheletro.
Mi domandai se la mia morte avrebbe potuto rattristare la
terra. E dormii»[xiv].
L’opera è strutturata seguendo il principio della
scomposizione cubista analitica e mira ad esprimere l’esauriente
dato oggettivo e ad una costruzione più certa dello
spazio.
«Ora, invece, il processo formale già rivolto
a scoprire la logica interna del reale mette in evidenza il
suo nucleo simbolico»[xv].
La struttura anziché limpida ed articolata è
oscura, rigida, mortalmente simile al “rigor mortis”; terribilmente
cruda ed amara nel suo dramma. Ogni elemento denuncia la violenza
degli aggressori ed il simbolo della morte è determinato
da quest’ossessionante immobilità.
«Passare dalla realtà al simbolo è passare
dalla vita alla morte. Uccidendo i cittadini di Guernica gli
aviatori tedeschi hanno deliberatamente, freddamente stroncato
la vita, come natura e come storia»[xvi].
Il discorso di Picasso è teso alla profondità
della coscienza, interpella ogni cittadino per chiedere una
definitiva scelta o deliberatamente con o contro il potere
fascista in Europa e le conseguenze che produrrà. L’artista
si fa interprete del destino dell’umanità, per qualcuno
persino una Cassandra.
Occorre notare che difficilmente un artista pronuncia un
proprio giudizio così decisivo ponendo al mondo un
così grande dilemma, così perentorio, se non
è consapevole del proprio ruolo morale e storico mediante
la sua composizione. “Guernica” è la visione della
morte nel suo compiersi: una mattanza in atto, non “in-divenire”;
la composizione è dentro, testimonia la storia, ne
diviene cronaca. Picasso scardina gli “orpelli” dell’epica
davidiana, già rotti da Fattori nelle sue “battaglie”
alias “disfatte”, ed entra non commiserando o commemorando
le vittime. Picasso è vittima. Picasso è spagnolo.
Una parte del pittore è morta insieme a quest’eccidio.
E con lui muore l’arte “Classica”: l’arte e la civiltà
il cui scopo è la mera conoscenza. Ma lo scheletro
dell’opera è classico e viene da questi superato nella
resa. La prospettiva delle figure dei caduti in primo piano,
lo strombo delle finestre sono graduati dall’alternarsi di
valori, di piani bianchi-verdastri pallidi[xvii],
neri e grigi. Il ritmo è crescente:
un pugno stringe la spada a difesa della libertà -tono
nobilmente oratorio-, il nitrito lacerante dagli occhi sbarrati
del cavallo agonizzante ferito mortalmente -
il tono si fa esasperato-[xviii]. Chissà dove è
la naturalità
«Entro nelle stalle infilandomi tra i corpi caldi e
impazienti dei cavalli affamati. Le loro teste sono girate
insieme alle estremità delle corde, i loro nasi quasi
si incontrano, i loro ampi crani si sollevano come ali senza
corpo»[xix].
Il cavallo è centrale nell’opera e diviene il paradigma
più in alto fra gli sguardi di una madre che urla per
il figlio morto e la gente che accorre per tentare di soccorrere
fra le macerie.
«Con “Les demoiselles d’Avignon” Picasso faceva esplodere
e disintegrava il linguaggio tradizionale della pittura; con
“Guernica” fa esplodere il linguaggio cubista, che era ancora
un linguaggio fatto per un diverso che ora non era più
sensibile»[xx].
Frantumazione, morte, desolazione, violenza, distruzione
e incomunicabilità. Gli strumenti nazisti sono “scientifici”,
come “scientifica” sarà l’eliminazione di milioni di
esseri viventi. Una scienza che distrugge in primis se stessa,
perchè serva della morte. E’ lontana la pace del
«masticare ritmico dei cavalli che riecheggia nel
basso soffitto come il frastuono di una banda di ubriaconi
barcollanti sulla ghiaia. E barre di luce filtrano attraverso
le assi e le assicelle scolorite del fienile, tratteggiando
la fila delle groppe dei cavalli» [xxi].
Il cavallo è coniugato al singolare, è metafora
della struggente solitudine della natura mortificata dall’aggressività.
La quotidianità ha lasciato forzatamente il posto alla
inquietudine ed allo sconcerto. Alberga nella figurazione
la mera solitudine. Non più
«farfalle celeste ardesia che entrano ed escono
incerte dalle lame di luce. Un cavallo sbuffa. Un altro tossisce.
I gatti del fienile si azzuffano sopra di noi nel sottotetto.
Un roano picchiettato divarica le gambe posteriori bilanciandosi
sugli zoccoli e piscia. Il puzzo di orina calda sovrasta gli
odori diffusi di grano e sudore animale e quegli acuti di
aghi di pino e letame» [xxii].
Il cavallo in Guernica è l’emblema della contingente
“disperazione”, per nulla umana; la pace è cancellata
dalla “violenza bruta” per nulla umana.
L’indagine picassiana si fa “sociologica” con una stilistica
spiccatamente apocalittica; in quest’opera si assiste al passaggio
di consegne dalle rosee figurine delle “demoiselles” a questi
feticci nerei, pallidi, acromatici. La violenza e la morte
geometrizzano i volti dei personaggi degli animali. Il tema
della “Strage” entra profondamente nella dialettica picassiana
completandone l’artista, ormai maturo, consapevole già
nel periodo azzurro delle brutture e dell’ingiustizia. Ora
è -consentitemi il termine- il “periodo apocalittico”
in cui Picasso compromette il linguaggio pittorico “caricandolo”
della difesa-offesa ontologica della “verità”, non
è solo “storia” ma diviene “apocalypsis”. E tornerà
nel 1951 questo stile inconfondibile, spiccatamente aspro
come ogni verità ma salutare, nel “Massacro in Corea”
dove, con minore incisività -forse una denuncia più
attempata e stanca delle ingiustizie perpetrate in ciascun
dove-, attua una fine civiltà umanistica per un trionfo
della naturalità umana nella stilistica picassiana
apocalittica fauvista.
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[i] G. C. Argan, op. cit., 220.
[ii] H. L. Jaffé, Picasso: il periodo Blu. in Art
Modern, Paris, 1920.
[iii] G. C. Argan, op. cit., 221.
[iv] L. Vinca Masini, Arte Moderna. Firenze, Sansoni, 1970,
625.
[v] G. C. Argan, op. cit,. 437.
[vi] Idem.
[vii] G. C. Argan op. cit., 438.
[viii] M. Dolz, Lo splendore delle cose. Milano, Ancora,
2001. 62. [in Appendice IV uno stralcio più ampio in
4.8.].
[ix] G. C. Argan, op. cit., 439.
[x] Idem.
[xi] G. C. Argan, op. cit., 438.
[xii] Evidente il rapporto con l’apertura dei quattro sigilli
dell’Apocalisse che qui pare essere definitivamente nella
storia dell’umanità.
[xiii] A tale proposito vedasi la poetica di Garcia Lorca.
[xiv] M. Spagg, Where the rivers change direction. University
of Utah, U of U Press, 1999. 64.
[xv] G. C. Argan, op. cit., 438.
[xvi] G. C. Argan, op. cit., 439.
[xvii] Notevole il rimando al termine greco designante il
quarto cavallo dell’Apocalisse: “clwroV” che vuol dire “verdastro,
pallido, morte, bile, acciaio freddo”.
[xviii] Il cavallo è pallido, come il quarto dell’apertura
dei primi quattro sigilli dell’Apocalisse.
[xix] M. Spagg, Where the rivers change direction. University
of Utah, U of U Press, 1999. 128.
[xx] G. C. Argan, op. cit., 440.
[xxi] M. Spagg, op. cit., 129.
[xxii] M. Spagg, op. cit., 130.
Prof. Alessio Varisco
magister artium
http://www.alessiovarisco.it
Técne Art Studio, Todi, dicembre 2000
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