L'Hallelu-ja
ki Tob di Fra' Pier
Le opere dell'amico fra’ PIER CAVEZZALE , monaco Cistercense
dell'Abbazia di Piona , esprimono la gioia della Rivelazione
e l'Abbraccio benedicente della fede; mi verrebbe da dire
-e a farVi notare- che parlano soprattutto al cuore. Archetipi
della Speranza dove la luce genialmente diviene espressione
sullo spazio del supporto a manifestare la Vera Luce.
Calma e guizzante ad un tempo rimanda alla suggestione della
catarsi della vita monastica, del suo esser "tempo della
memoria", in cui la foresta dei simboli, arcane tracce
del divino, sprigionano la pulsione di una vita spesa nel
silenzio a lodarLo. Ho incontrato facilità a conoscere
quest'artista, iconografo della modernità, poichè
parla cogli occhi che esprimono una vitalità creativa
tipica di chi vive quell' "Inquietum est cor meum donec
requiescat in Te!" mediata dalla solidità della
Regula Benedicti vivificata dall'originalità della
Riforma Cistercense. Perciò fantasia con brio ma estremo
pragmatismo, che non guasta mai.
Come ogni vero artista è schivo, dice poco della sua
arte, preferisce mostrarla; ma non si può dire che
sia altrettanto schivo sotto il profilo della produzione artistica.
Insomma poche parole ma molte immagini; per lo più
autentiche "icone" della sua interiorità.
E lo studio, come per ogni vero artista, è riadattato;
è dapprima lo spazio del cuore e fisicamente una celletta
(forse a significare doppiamente quella di ogni artista) che
dà sull'antico chiostro abbaziale dove cataste di opere,
odore di vernici, fogli iniziati -diversi dei quali riutilizzati-
animano la quiete imperturbabile e serena della clausura.
Mi ricordo un pomeriggio di maggio la sua gioia nel dis-velarsi
e nel concedermi questi suoi piccoli "segreti",
quasi come una confessione, nel silenzio del corridoio principale
tre gradini oltre la porta e tanti sogni; fuori i monaci transitano
in silenzio affaccendati ma silenti. Silenzio, tranne quel
vociare dal cortile affollato di turisti in un sabato pre-estivo.
Un silenzioso "rifugio" mi viene subito da dirgli,
provocandolo, -sottovoce- aspettandomi qualche risposta mentre
pensavo ecco il "suo castello interiore vivificato in
questo luogo". Una fucina, un laboratorietto di tre metri
per tre, con un lavabo, il letto inutilizzato e gli armadi
stracolmi di sue tele e una miriade di prodotti per dipingere;
uno spazio dove trementine e vernici finali inebriano, richiamano
la passione di chi con amore e con brio crea. Forse uno degli
omini di NORBERTO il "nostro" fuggito da una tela
dell'ex sarto spellano? candeggiato nell'abito rispetto ai
soggetti seguaci del Poverello?
I significati credo siano meglio "leggibili" se
mediati alla luce della profondità nella ripetitività
della “Stabilitas” di una Regola antica temperata dall'Intelletto
della Fede ora in opere colorate.
Il monaco vive lodando il Signore e vive l'Amore nella Preghiera.
Il "nostro" vive magnificandoLo con quei Doni e
Talenti che Lui gli ha fornito e canta con le sue opere; perciò
quest'ultime profonde, rivelano mediante la composizione manuale
formule ben più alte, preghiere liturgiche, lezionari
e Inni. Salmodie colorate. Litanie della Speranza coagulate
in pigmenti cromatici. Suoni polifonici, corali, di gregoriana
memoria su tela. Detti "manufatti" assumono decisamente
una vitalità profonda, ma la cui idealità soggiace
nella complessa semplicità di una vita per i moderni
secolaristi troppo uguale eppure infinita. L'animosità
coagulata negli impasti cromatici di fra' PIER dice la bontà
di Lui che gli ha elargito perchè gli si continuasse
a rendere Gloria. Ma non in autocelebrazione del Padre ma
nella continua ineguagliabile ispirazione che gli dona perchè
possa, nella giornata, trovare colori e forme per rendergli
ancor più; appare -quindi- pertinente il dire che il
nostro a differenza di tutti i monaci che praticano "ora
et labora" vive questa formula con una variante "pingendi",
mai privando l'equilibrio della sua vita monastica.
Sono rimasto soprattutto colpito dalla versatilità
di utilizzo dei supporti (consentitemi di riferirVi che l'utilizzazione
di vari e sempre nuovi supporti è indice di padronanza
tecnico-stilistica ed una adattabilità "malleabile"
della mano a diverse realtà compositivo-tecniche) perciò
l'utilizzo delle tecniche nella povertà si rendono
grandi attraverso le piccole cose. Orbene Vi invito a meditare
che Iddio parla con la "minimalità" al cuore
semplice istruendolo alla purezza e alla moltitudine dei doni
futuri.
Guardo mentre Vi sto scrivendo il menabò di questo
catalogo che leggerete, che noi di Técne stiamo preparando
a questo monaco, e sono sempre più convinto osservando
le molte opere forniteVi che nella poetica pittorica di fra'
PIER vi siano ben tre grossi filoni a cui si aggiungano altre
elaborazioni di rimando al Mito dell'Eterno Ritorno del Monaco
e delle sue suggestioni da lui vissute in alcuni suoi viaggi
e mi riferisco a quelli in Terra Santa ma anche alla sua passione
per l'alpinismo e lo sci che l'hanno portato sempre, nella
sua vita, ad avvicinarsi a quel Trascendente. Il primo di
questi è l'immagine curvilineo-spiraliforme del cerchio,
un'insistente "Asah" (dall'ebraico antico "Fare"),
che proviene e ritorna all'infinito di memoria biblica: quasi
una Scala di Giacobbe, oppure quel frangersi di acque dallo
“Sheol” nella Creazione a consentire la separazione delle
Acque dalle Terre nel Terzo Giorno, o quelle onde come del
mar di Mara, o ancora i Centoquarantaquattromila Beati dell'Apocalisse.
Il secondo degli elementi ricorrenti è quella sorta
di griglia di quadrangoli e cerchi, reticolo della Creazione,
forse un rimasuglio di quel "Dabal" (dall'ebraico
antico "Separare") di Dio nello strutturare la Sua
Genesi, che richiamano il significato della solidità,
il quadrato, contrapposta alla perfezione del cerchio, la
divinità. Mentre in ultimo, io direi, come "vele
mosse dal vento", fiocchi o “spinnaker”, una sorta di
"Ruah 'Elohim" (Soffio Divino) di giovannea memoria
"Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non
sai di dove viene e dove va!" (Gv. 3,8).
Veniamo ora ai colori: principalmente caldi, molto forti,
a tratti sgargianti a significare quella "'Or" che
nient'altro è che la “Luce” e cioè la “Vita.”
A me pare che l'immagine della Luce riviva l'esperienza mistica
e creativa -mediata dalle mani di fra' PIER - dello "Jehi
'or" e cioè di quel "Sia la luce!",
parola d'ordine della Creazione. E qui l'esperienza estetica
è trasfusa nell'esperienza mistica e liturgica del
"Kedob Yhwh" e cioè nella "Gloria di
Javè", che altro non è che il Riposo dello
“Sabath”, il Settimo Giorno (che dopo la Venuta del “Logos”
-per noi christifideles- è il “Dies Domini”, la nostra
Pasqua settimanale), che rimanda al Santuario, alla celebrazione
nel Santo in attesa della futura "Shekinah" (Casa
del Padre) che è la Gerusalemme Celeste dove -come
riferisce l'Apocalisse- non vi è notte!
E i colori ci devono comunicare l' “Hallelu-ja ki Tob” (Lodate
il Signore perchè è Buono) e credo che ben ci
trasmettano questa Gioia.
Difficilmente è bene "classificare", operare
nuovi "ismi" nel panorama di un'arte -la nostra,
quella contemporanea- mossa dal vento della Creatività.
Alcune opere rimandano a galassie interiori, a simboli primitivi,
archetipi, dove "de-strutturizzato" (ma mai iper
o de-mitizzato) l'oggetto reale diviene simbolo della dinamica
del "Divenire".
Le forme sono perciò di ispirazione divina. Si pensi
alla simbologia poc’anzi detta del quadrangolo, l'umanità,
contrapposta alla curvilinea "meta ta physica" -di
rimando all'Infinito "epekeina tes ousias" (spiraliforme
poichè infinita)- reiterata o ai cerchi evocatori dell'Ineffabile.
Il succedersi di vele mi riporta alla mente quell'Estrarre
dal "Touh wa bouh" ponendo ordine al caos e cioè
a quel "Ex amorphou hyles" ossia da "materia
informe".
Per i contenuti poi Vi invito ad osservare le opere -attentamente-,
le commistioni di colori e forme per infine lasciarsi coinvolgere
magari socchiudendo un poco gli occhi. I titoli appaiono estremamente
eloquenti: "Il Soffio dello Spirito" (che sappiamo
esser il “Ruah ‘Elohim”, non già “Nefesh”, l'anima
umana), "Ruah" per il mondo semitico, "Terre
lontane" (fra' PIER riferisce di inserire nella sua pittura
"emozioni" dopo un suo viaggio in Terra Santa),
"Solitudo" (mi viene da pensare alla Regula Benedicti
che dopo il suo Prologo "Ascolta, figlio, gli insegnamenti
del tuo maestro" continua più avanti al "...a
te si rivolge dunque questo discorso, chiunque tu sia, che,
rinunziando alle tue proprie volontà, per servire Cristo
Signore, Vero Re, assumi le fortissime e gloriose armi dell'obbedienza!")
un pensiero per immagini alla condizione monastica "Prigione
che libera" (penso alle mie visite alle Carceri di Assisi
luogo preferito di San FRANCESCO fuori le mura dove meditava
una profonda commossa "Lectio Divina"), "Valle
di Cedron", "Terra dei Profeti" (che mi ricorda
l'interrogazione XXIII del Prologo della Regula Benedicti
insieme col Profeta chiediamogli: "Signore chi abiterà
nella Tua tenda chi riposerà sulla Tua santa montagna?"
Sal. 14,1.), "Genezareth" e poi visivamente quasi
come un antico graffito con la "preziosità elementare"
dell'arte rupestre, "Torah". Infine due opere molto
significative: la prima un “suo” Te Deum a Jerusalem, il titolo
è "Gerusalemme Gerusalemme" e la seconda
"Luce che viene dall'alto", una riflessione evocatrice
da un lato di teofanie veterotestamentarie e di pacificatrici
venute del Paraclito.
Ecco mi pare che gli elementi scritturistici e spirituali
soggiacciano in equilibrata fusione nelle opere di fra' PIER
a suggerire la perfezione epicoretica resa graficamente mediante
le campiture del pittore. Addirittura credo di poter concludere
che la dialettica pittorica di fra' PIER gestita dalla laboriosità
di mani che paiono -a mio modo- rendersi artefici della Trinità.
Rileggendo questo scritto penso alla Regola di San BENEDETTO
e mi scorrono dinanzi agli occhi i quadri di PIERLUIGI e la
Piazza di Norcia e il Piano Grande di Castelluccio. Mi pare
di ascoltare una voce che mi suggerisce "L'ozio nuoce
al vero bene dell'uomo. Perciò i fratelli devono, in
tempi determinati, dedicarsi al lavoro manuale e in altre
ore alla Lectio Divina..." (Regula Benedicti, cap. 48.1)
e poi ancora "Se nel monastero vi stanno dei fratelli
esperti in una qualche arte o mestiere, l'esercitino con tutta
umiltà e solo se ne hanno il consenso dell'abate[...]
perchè in tutto venga glorificato Dio! (1Pt. 4,11)"
(Regula Benedicti, cap. 57) .
Prof. ALESSIO VARISCO
Art Director "Técne Art Studio"
Piona, Ascensione 2001
|