Alessio Varisco
storie e controstorie della storia dell'arte e suoi simboli
 
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" fra' Pier "

 

storie e controstorie della storia dell'arte e suoi simboli

 

Capitolo I

"pittura e simbolica"

Pittura e simbolica

L'Hallelu-ja ki Tob di Fra' Pier

Le opere dell'amico fra’ PIER CAVEZZALE , monaco Cistercense dell'Abbazia di Piona , esprimono la gioia della Rivelazione e l'Abbraccio benedicente della fede; mi verrebbe da dire -e a farVi notare- che parlano soprattutto al cuore. Archetipi della Speranza dove la luce genialmente diviene espressione sullo spazio del supporto a manifestare la Vera Luce.
Calma e guizzante ad un tempo rimanda alla suggestione della catarsi della vita monastica, del suo esser "tempo della memoria", in cui la foresta dei simboli, arcane tracce del divino, sprigionano la pulsione di una vita spesa nel silenzio a lodarLo. Ho incontrato facilità a conoscere quest'artista, iconografo della modernità, poichè parla cogli occhi che esprimono una vitalità creativa tipica di chi vive quell' "Inquietum est cor meum donec requiescat in Te!" mediata dalla solidità della Regula Benedicti vivificata dall'originalità della Riforma Cistercense. Perciò fantasia con brio ma estremo pragmatismo, che non guasta mai.
Come ogni vero artista è schivo, dice poco della sua arte, preferisce mostrarla; ma non si può dire che sia altrettanto schivo sotto il profilo della produzione artistica. Insomma poche parole ma molte immagini; per lo più autentiche "icone" della sua interiorità.

E lo studio, come per ogni vero artista, è riadattato; è dapprima lo spazio del cuore e fisicamente una celletta (forse a significare doppiamente quella di ogni artista) che dà sull'antico chiostro abbaziale dove cataste di opere, odore di vernici, fogli iniziati -diversi dei quali riutilizzati- animano la quiete imperturbabile e serena della clausura. Mi ricordo un pomeriggio di maggio la sua gioia nel dis-velarsi e nel concedermi questi suoi piccoli "segreti", quasi come una confessione, nel silenzio del corridoio principale tre gradini oltre la porta e tanti sogni; fuori i monaci transitano in silenzio affaccendati ma silenti. Silenzio, tranne quel vociare dal cortile affollato di turisti in un sabato pre-estivo. Un silenzioso "rifugio" mi viene subito da dirgli, provocandolo, -sottovoce- aspettandomi qualche risposta mentre pensavo ecco il "suo castello interiore vivificato in questo luogo". Una fucina, un laboratorietto di tre metri per tre, con un lavabo, il letto inutilizzato e gli armadi stracolmi di sue tele e una miriade di prodotti per dipingere; uno spazio dove trementine e vernici finali inebriano, richiamano la passione di chi con amore e con brio crea. Forse uno degli omini di NORBERTO il "nostro" fuggito da una tela dell'ex sarto spellano? candeggiato nell'abito rispetto ai soggetti seguaci del Poverello?
I significati credo siano meglio "leggibili" se mediati alla luce della profondità nella ripetitività della “Stabilitas” di una Regola antica temperata dall'Intelletto della Fede ora in opere colorate.
Il monaco vive lodando il Signore e vive l'Amore nella Preghiera. Il "nostro" vive magnificandoLo con quei Doni e Talenti che Lui gli ha fornito e canta con le sue opere; perciò quest'ultime profonde, rivelano mediante la composizione manuale formule ben più alte, preghiere liturgiche, lezionari e Inni. Salmodie colorate. Litanie della Speranza coagulate in pigmenti cromatici. Suoni polifonici, corali, di gregoriana memoria su tela. Detti "manufatti" assumono decisamente una vitalità profonda, ma la cui idealità soggiace nella complessa semplicità di una vita per i moderni secolaristi troppo uguale eppure infinita. L'animosità coagulata negli impasti cromatici di fra' PIER dice la bontà di Lui che gli ha elargito perchè gli si continuasse a rendere Gloria. Ma non in autocelebrazione del Padre ma nella continua ineguagliabile ispirazione che gli dona perchè possa, nella giornata, trovare colori e forme per rendergli ancor più; appare -quindi- pertinente il dire che il nostro a differenza di tutti i monaci che praticano "ora et labora" vive questa formula con una variante "pingendi", mai privando l'equilibrio della sua vita monastica.
Sono rimasto soprattutto colpito dalla versatilità di utilizzo dei supporti (consentitemi di riferirVi che l'utilizzazione di vari e sempre nuovi supporti è indice di padronanza tecnico-stilistica ed una adattabilità "malleabile" della mano a diverse realtà compositivo-tecniche) perciò l'utilizzo delle tecniche nella povertà si rendono grandi attraverso le piccole cose. Orbene Vi invito a meditare che Iddio parla con la "minimalità" al cuore semplice istruendolo alla purezza e alla moltitudine dei doni futuri.
Guardo mentre Vi sto scrivendo il menabò di questo catalogo che leggerete, che noi di Técne stiamo preparando a questo monaco, e sono sempre più convinto osservando le molte opere forniteVi che nella poetica pittorica di fra' PIER vi siano ben tre grossi filoni a cui si aggiungano altre elaborazioni di rimando al Mito dell'Eterno Ritorno del Monaco e delle sue suggestioni da lui vissute in alcuni suoi viaggi e mi riferisco a quelli in Terra Santa ma anche alla sua passione per l'alpinismo e lo sci che l'hanno portato sempre, nella sua vita, ad avvicinarsi a quel Trascendente. Il primo di questi è l'immagine curvilineo-spiraliforme del cerchio, un'insistente "Asah" (dall'ebraico antico "Fare"), che proviene e ritorna all'infinito di memoria biblica: quasi una Scala di Giacobbe, oppure quel frangersi di acque dallo “Sheol” nella Creazione a consentire la separazione delle Acque dalle Terre nel Terzo Giorno, o quelle onde come del mar di Mara, o ancora i Centoquarantaquattromila Beati dell'Apocalisse. Il secondo degli elementi ricorrenti è quella sorta di griglia di quadrangoli e cerchi, reticolo della Creazione, forse un rimasuglio di quel "Dabal" (dall'ebraico antico "Separare") di Dio nello strutturare la Sua Genesi, che richiamano il significato della solidità, il quadrato, contrapposta alla perfezione del cerchio, la divinità. Mentre in ultimo, io direi, come "vele mosse dal vento", fiocchi o “spinnaker”, una sorta di "Ruah 'Elohim" (Soffio Divino) di giovannea memoria "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va!" (Gv. 3,8).
Veniamo ora ai colori: principalmente caldi, molto forti, a tratti sgargianti a significare quella "'Or" che nient'altro è che la “Luce” e cioè la “Vita.” A me pare che l'immagine della Luce riviva l'esperienza mistica e creativa -mediata dalle mani di fra' PIER - dello "Jehi 'or" e cioè di quel "Sia la luce!", parola d'ordine della Creazione. E qui l'esperienza estetica è trasfusa nell'esperienza mistica e liturgica del "Kedob Yhwh" e cioè nella "Gloria di Javè", che altro non è che il Riposo dello “Sabath”, il Settimo Giorno (che dopo la Venuta del “Logos” -per noi christifideles- è il “Dies Domini”, la nostra Pasqua settimanale), che rimanda al Santuario, alla celebrazione nel Santo in attesa della futura "Shekinah" (Casa del Padre) che è la Gerusalemme Celeste dove -come riferisce l'Apocalisse- non vi è notte!
E i colori ci devono comunicare l' “Hallelu-ja ki Tob” (Lodate il Signore perchè è Buono) e credo che ben ci trasmettano questa Gioia.
Difficilmente è bene "classificare", operare nuovi "ismi" nel panorama di un'arte -la nostra, quella contemporanea- mossa dal vento della Creatività. Alcune opere rimandano a galassie interiori, a simboli primitivi, archetipi, dove "de-strutturizzato" (ma mai iper o de-mitizzato) l'oggetto reale diviene simbolo della dinamica del "Divenire".
Le forme sono perciò di ispirazione divina. Si pensi alla simbologia poc’anzi detta del quadrangolo, l'umanità, contrapposta alla curvilinea "meta ta physica" -di rimando all'Infinito "epekeina tes ousias" (spiraliforme poichè infinita)- reiterata o ai cerchi evocatori dell'Ineffabile. Il succedersi di vele mi riporta alla mente quell'Estrarre dal "Touh wa bouh" ponendo ordine al caos e cioè a quel "Ex amorphou hyles" ossia da "materia informe".

Per i contenuti poi Vi invito ad osservare le opere -attentamente-, le commistioni di colori e forme per infine lasciarsi coinvolgere magari socchiudendo un poco gli occhi. I titoli appaiono estremamente eloquenti: "Il Soffio dello Spirito" (che sappiamo esser il “Ruah ‘Elohim”, non già “Nefesh”, l'anima umana), "Ruah" per il mondo semitico, "Terre lontane" (fra' PIER riferisce di inserire nella sua pittura "emozioni" dopo un suo viaggio in Terra Santa), "Solitudo" (mi viene da pensare alla Regula Benedicti che dopo il suo Prologo "Ascolta, figlio, gli insegnamenti del tuo maestro" continua più avanti al "...a te si rivolge dunque questo discorso, chiunque tu sia, che, rinunziando alle tue proprie volontà, per servire Cristo Signore, Vero Re, assumi le fortissime e gloriose armi dell'obbedienza!") un pensiero per immagini alla condizione monastica "Prigione che libera" (penso alle mie visite alle Carceri di Assisi luogo preferito di San FRANCESCO fuori le mura dove meditava una profonda commossa "Lectio Divina"), "Valle di Cedron", "Terra dei Profeti" (che mi ricorda l'interrogazione XXIII del Prologo della Regula Benedicti insieme col Profeta chiediamogli: "Signore chi abiterà nella Tua tenda chi riposerà sulla Tua santa montagna?" Sal. 14,1.), "Genezareth" e poi visivamente quasi come un antico graffito con la "preziosità elementare" dell'arte rupestre, "Torah". Infine due opere molto significative: la prima un “suo” Te Deum a Jerusalem, il titolo è "Gerusalemme Gerusalemme" e la seconda "Luce che viene dall'alto", una riflessione evocatrice da un lato di teofanie veterotestamentarie e di pacificatrici venute del Paraclito.
Ecco mi pare che gli elementi scritturistici e spirituali soggiacciano in equilibrata fusione nelle opere di fra' PIER a suggerire la perfezione epicoretica resa graficamente mediante le campiture del pittore. Addirittura credo di poter concludere che la dialettica pittorica di fra' PIER gestita dalla laboriosità di mani che paiono -a mio modo- rendersi artefici della Trinità.
Rileggendo questo scritto penso alla Regola di San BENEDETTO e mi scorrono dinanzi agli occhi i quadri di PIERLUIGI e la Piazza di Norcia e il Piano Grande di Castelluccio. Mi pare di ascoltare una voce che mi suggerisce "L'ozio nuoce al vero bene dell'uomo. Perciò i fratelli devono, in tempi determinati, dedicarsi al lavoro manuale e in altre ore alla Lectio Divina..." (Regula Benedicti, cap. 48.1) e poi ancora "Se nel monastero vi stanno dei fratelli esperti in una qualche arte o mestiere, l'esercitino con tutta umiltà e solo se ne hanno il consenso dell'abate[...] perchè in tutto venga glorificato Dio! (1Pt. 4,11)" (Regula Benedicti, cap. 57) .

Prof. ALESSIO VARISCO
Art Director "Técne Art Studio"

Piona, Ascensione 2001

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