Teodolinda
Varisco L50«Il tema pittorico principale di Teodolinda
Varisco è il segno che si espande nello spazio. La
storia personale dell’Artista è intimamente inserita
nella corsa degli eventi delle ricerche di una spiritualità
vissuta e di un bisogno di raffigurare non già l’illusorio
bensì il Trascendente. I problemi di cui si è
occupata sono rilevanti.
Dapprima il linguaggio pittorico in se stesso, vale a dire
gli elementi fondamentali che costituiscono l’immagine. Poi
il loro ampliamento e arricchimento nella costruzione di un
tessuto di segni o di diversi tipi di tessuti di segni, in
uno spazio sempre più denso di significati, e con un’ideazione
dinamica vasta e audace. Ciò è connesso con
l’espressione delle emozioni e della mente dell’uomo. L’attività
di Teodolinda, ampia, si è raccolta su una direzione
priva di contraddizioni, percorsa con ammirevole, costante
volontà, ampiezza ed approfondimento.
Per chiarezza sintetizziamo alcune realtà conosciute.
Che cosa è il segno?
In linea di principio, può essere qualsiasi traccia
percepibile sensorialmente, capace di presentare un significato.
Nel concreto nella pittura di Teodolinda, è la traccia
visiva lasciata dalla mano umana che scrive o che disegna,
che distende direttamente dal tubetto o con le unghie o dita,
come un graffito primitivo. Una produzione primigenia che
inizialmente è comune sia alla pittura sia alla scrittura.
A partire da qui, la scrittura usuale è asservita alle
convenzioni del linguaggio verbale, con le sue leggi standard
per decifrare le parole secondo le varie lingue d’uso. Dall’altra
parte, sempre a partire dagli elementi visivi arcaici, il
segno diventa una realizzazione visiva autonoma, una forma
sciolta, un ritmo, un’estensione, un’espansione dinamica nello
spazio. Tutto questo conserva ancora solamente diverse analogie
materiali con la scrittura: in particolare, la successione
e l’allineamento. Il carattere proprio della sua pittura,
segnica, radicalmente fuori da ogni scelta comune, sta nella
creatività indipendente, nella forza modulata, nel
colore e nella luce, nella microgestualità umana, capaci
di dare animo e valutare lo spazio. E qui cominciamo anche
a sentire la sua qualità spirituale e meditativa.
Ci viene suggerita una percezione di ampliamento ma anche
di lancinante concentramento. In quanto si ricongiunga alla
scrittura, è un’immagine di indecifrabilità.
Una allegoria dell’enigmaticità, dell’imprevedibilità
della vita. È la manifestazione di un traboccante,
strutturato avviamento dinamico, e nello stesso tempo fa sorgere
un affilato senso di sgomento. Il discorso diventa filosofico,
perché gentilmente, ma con mano monolitica, ci pone
la sua interrogazione, se la interezza dell’essere sia comprensibile,
o almeno una sua frazione, e che senso ha. Indiscutibilmente
è un abbondante zampillo di linee toniche, che a volte
ci passa accanto, a volte ci aggancia.
Storia individuale e storia della cultura artistica del suo
tempo. Teodolinda è nata a Monza negli anni Cinquanta.
La sua formazione ha luogo in un spazio di tempo che abbonda
di stimoli e di idee, fra gli anni Sessanta, ancora bimba
alla scuola anche di don Lorenzo Milani amico del padre Mario,
e Sessanta, così ricchi della contestazione studentesca
e giovanile contro un mondo che si considera inopportuno.
Sul lato socioeconomico sono gli anni della ricostruzione
delle città europee dopo la fine della seconda guerra
mondiale; Teodolinda ricorda gli squarci nelle case ancora
ad inizio anni Sessanta, quando con il papà e la mamma,
in auto, si recavano nel Golfo Tigullio per l’estate. Immagini
di morte, distruzione e consolazione; alcune di queste riecheggiano
nei suoi primi disegni a carboncino e coi pastelli a cera
fusi. La “guerra”, il “Che”, “don Lorenzo”, il “Papa Giovanni
XIII”, gli “Amanti”, i “fiumi”, i volti dei “Christi Pathiens”
sono i leit-motiv della pittura di L50. Un amico critico,
venendo nello studio di Teodolinda, disse «i tuoi quadri
sono confessioni tenaci, urli al contempo. Certamente avresti
potuto scrivere ed invece hai dipinto facendo romanzi cromatici,
poesie visive e riflessioni forse più profonde della
scrittura. Sai la grandezza di un artista è misurabile
dalla tematicità iniziale e dallo sviluppo che questa
riesce a produrre nel tempo. Il tuo primo quadro è
uguale all’ultimo! Così il Cristo e i fiumi, le tematiche
più sociali e quelle religiose!».
Sul piano intellettuale e dell'arte è il tempo in
cui vengono enunciate numerosissime offerte creative, che
ora si fiancheggiano e ora si fronteggiano oppositivamente.
In questo panorama culturale cocente e fervido, si danno da
fare presentimenti che riguardano gli stili le tecniche e
le esplorazioni formali, ma soprattutto possibili nuove concezioni
dell’uomo e dei suoi rapporti con il mondo circostante. L’idea
del rinnovamento e del progresso, di una attivismo profondo,
di uno slancio creativo in molte direzioni, nella vita delle
persone come nella vita del cosmo, investe il mondo conforme
alla natura umana e il mondo fisico. Nello stesso periodo
si innalza il bisogno di rendere limpido, stringere insieme,
scorgere le cose negli aspetti costitutivi fondamentali. In
campo intimamente artistico stanno da tempo attestandosi vari
movimenti. Il realismo sociale. L’astrattismo lirico. Il naturalismo
materico-gestuale-informale. Lo spazialismo, ossia le ricerche
sullo spazio inestinguibile nella sua apertura. L’astrattismo
radicale, le ricerche su colori e forme che dal “geometrico”
scendono infine al minimale. Queste e altre ipotesi creative
esprimono umanità, impegno morale e civile, brama di
comprendere, ridefinire se possibile i presupposti dell’esistenza,
e anche dei linguaggi che usiamo. È il bisogno di “vederci
chiaro”. Ricerche pressoché corrispondenti avvenivano
anche in differenti campi della produzione intellettuale,
nell’architettura, nel design, nella musica, nel teatro e
nella letterature. Il dibattimento acceso spinge vari autori
a unire i contatti per migliorare il confronto mediante la
costituzione di gruppi e movimenti. Nell’arte italiana il
ventaglio delle proposte è largo: si va dai postumi
o dalle eredità delle tradizioni figurative, comprese
quelle di un’antica classicità, allo spazialismo di
Fontana o alle ricerche di nuova matericità di Burri.
Teodolinda Varisco intorno a diciotto anni decide di dedicarsi
alla pittura. La sente come una sorta di vocazione. Segue
un periodo di riflessione e di continua produttività
mai paga della ricerca, continua, perpetua. La giovane artista
la ricerca del ritmo plastico. La sua prima esposizione personale
è allestita nel 1991 per i festeggiamenti di San Giovanni
della Croce; a cui seguono diverse sperimentazioni e la prima
grossa personale nel 1997 nella Cripta del Bramantino, con
il critico Pier Franco Bertazzini, suo ex professore di latino.
Nello stesso anno fonda Técne Art Studio, un movimento
già liberamente costituito. Menzioniamo i nomi dei
co-fondatori: Chiara Rita Benedetta e Alessio, figli di Teodolinda.
Con loro si schierano diversi critici e poeti. Uno studio
storico sistematico di quel movimento non è ancora
stato totalmente redatto. Diverse sono le pubblicazioni dell’Associazione,
nominate “quaderni”, vere monografie su singoli autori: Teodolinda
Varisco, Alessio, Fra’ Pier e Chiara Rita Benedetta.
L’orientamento d’assieme consisteva nel passare oltre gli
aspetti soggettivi istintivi emotivi dell’arte materica naturalistica-informale;
e nel chiedersi se fosse possibile un oggettività nuova,
medita, non dipendente da modelli prefissati, aperta a una
visione internazionale e non localistica, e avente interesse
per le ricerche sul segno, il segno che si pone e si sviluppa
nello spazio. Assai presto ciascuno dei quattro sviluppò
la sua strada in modo sempre più differenziato; il
gruppo esaurì le sue funzioni; però le conseguenze
e ripercussioni positive di quell’esperienza durano ancora
oggi. Nel caso di Teodolinda Varisco è a quel bisogno
di chiarire il segno nella pittura, prima e più in
profondità delle applicazioni o elaborazioni liriche
soggettive, che si devono i dipinti in cui appare, come protagonista,
non un centro o un oggetto centrale, ma l’espandersi di una
discorsività pittorica che forma un continuum, dove
il centro può essere dappertutto, e dove l’immagine
si presenta come un insieme di linee di forza che si allungano
ed estendono nello spazio, in una luce nitida, fermissima,
e nel contempo aperta a ogni possibile evento. E dove le più
sottili vibrazioni della sensibilità individuale e
lirica non sono soppresse ma coinvolte e convocate in quel
vasto spazio dinamico, pieno di tensioni imprevedibili. Lo
spazio animato e il segno che lo anima sono i veri protagonisti
di tale impostazione pittorica.
Nella cronologia degli anni della formazione della Pittrice
Teodolinda Varisco (la sua scuola è stata soprattutto
la vita e le letture), la premessa che bisogna ricordare per
capire il suo distaccarsi e salpare (paradigmatica l’immagine
della sua “Partenza”), è data dalla “scuola del Ponte”,
la Die Brücke, rivisitata in maniera più informale
a versi persino astratta, ma mai totale. La cultura di Teodolinda
consente il riferimento a un contesto dovizioso. Possiamo
citare ad es. la pittura di Chighine, sullo sfondo di una
cultura internazionale. Chighine: il più astratto dei
nostri informali-naturalisti. Oppure era più attuale
Hartung? In certi tratti anche Morlotti, la conoscenza di
Frisia traghettatore sul fiume Adda ad Imbersago. Teodolinda
dipingeva austeri luccicanti blocchi di colore dove emergeva
il ritmo serrato-aperto di rigature verticali libere e nette.
Verso la metà degli anni Ottanta il movimento di linee,
tracciate sempre più scioltamente, linee cromatiche,
arricchisce nel proprio interno proponendosi in una scrittura,
che diviene la chiave di volta dell’espressionalità
di L50. Il dipinto assume le sembianze di un documento, una
pagina di testimonianza astratta, stesa tra irruenza e disciplina.
La lettera misteriosa è narrazione letteralmente indicibile,
perché non è da decodificare con il vocabolario
ma da vedere come ritmo, materia spiritualizzata, immagine
di una peripezia.
Nei successivi anni di ricerche i segni mutano. L’artista
elabora composizioni sui temi del positivo-negativo, usa mezzi
polimaterici, recupera la sintesi formale unita a luce limpida
o neutra e purezza di colori.
Abbiamo l'obbligo mettere bene in luce una situazione che
ci sembra decisiva.
Più d’un arista alle prese con le ricerche minimali
è finito nel vicolo cieco di un nuovo manierismo o
accademismo, per esaurimento, o per carenza di autocritica,
o per essersi fidato troppo dell’aria fresca di uno sperimentalismo
continuo e non sufficientemente meditato. Non così
Teodolinda Varisco! Pur attraverso ogni esplorazione del linguaggio
–a prima vista parrebbe che L50 abbia saccheggiato il Novecento
creando un suo stile sincretista che tiene conto di molti
stilemi-, portava in sé un livello emotivo, un’energia
psicologica e una fantasia capace di far nascere simboli,
che funzionavano sempre con una vivacità calda e misteriosamente
appassionata. Il suo lavoro possedeva un significato non tecnico-stilistico
soltanto, ma umano e interiorizzato. Una sorta di nuovo espressionismo!
Partendo dallo studio dell’emotività del colore.
Il mio maggior impegno nell’arte della Varisco era ed è
diretto a percepire quali siano le emozioni che scaturiscono
dalla incessante osservazione di superfici monocrome. La sua
è una pittura di “esperimenti” che la portarono alla
fine alla seguente sintesi: ogni colore esprime un “calore
dell’animo”. Il simbolismo cromatico è evocante uno
più profondo: spirituale, dell’essenza. E perciò
il blu diviene l’emblema della coscienza e dell’energia statica,
il viola rappresenta il desiderio, così come il verde
il progetto/germinazione, il giallo la scelta, l’arancione
la trasformazione ed il rosso l’azione. Tali accoppiamenti
prendono il largo da un’esperienza molto personale, segnalano
l’invito pressante soggiacente: emozione, interiorità
e sensibilità. Anche quando si accosta all’astrazione
radicale delle forme pure, Teodolinda Varisco ascolta il bisogno
incoercibile di confrontarsi con il calore degli oggetti,
trasferendo forme arcaiche, archetipiche. Orbene la Pittrice
dipinge non già e soltanto l’uomo concreto e reale,
quello che vive sulla terra, nel tempo collettivo storico
come nel tempo dell’esistenza individuale, bensì rappresenta
la sfera più recondita di significati e gesti che attengono
l’anima. Si noti l’apertura verso la prima metà degli
anni Novanta ad una tecnica mista con riporto fotografico,
dove il supporto tela diviene “teatro del mondo” (si pensi
solo a “Cafarnao”), affiorante il dato preistorico, fauvista,
non solo geometrie platoniche ma prodotti della mano umana.
E la presenza umana è irrinunciabile in tutte le opere.
Potremmo dire assume nel reticolo dell’opera una plusvalenza
sempre maggiormente affiorante, anche nell’apparenza mancanza.
Interessante –ed urge sottolinearlo- la “rifondazione” che
avviene nelle tele -che ricominciano ad arricchirsi di scritture
pittoriche- alla fine degli anni Ottanta. Quasi nuovi alfabeti
alla ricerca di un unico telos: l’Anima!
A cavallo dei primi anni Novanta l’intensità emotiva
e il senso del vissuto temporale sono attestati fin dai titoli:
Peccati capitali, la Passeggiata nel parco, Padre Pio, Donna
vestita di sole, la Gerusalemme Celeste, la Samaritana, l’Adultera.
Sono titoli poetici e limpidamente indicativi, e comunicano
lo svolgersi della vita: passato, presente, futuro. Sono l’incontro
ossia una dialettica con altri: esperienza e meditazione.
I dipinti intitolati Piaghe, alla conclusione della fase
Fiumi, sono scritture multiple. Si possono individuare diversi
discorsi simultanei combinati. Sullo sfondo chiaro appare
un segno urlato, materico ed al tempo stesso delicato e compatta,
tracciato con gli oli, con un ritmo fine e fitto diffuso su
tutto il quadro. Effonde la sensazione del ritmo, dello scorrimento,
dell’intrecciato movimento confondersi nella vita. In tal
modo l’immagine dello spazio è accalorata dal tempo.
A questo sfondo statico/dinamico si sovrappone l’ampia e decisa
scrittura in rosso vivo su un supporto chiaro, che ha l’energia
dell’avvenimento contingente. Questo segno è una citazione
letteraria della “Piaga rossa” di Dino Campana: sta a dirci
quanto l’uomo concreto e reale, quello che vive sulla terra,
nel tempo collettivo storico come nel tempo dell’esistenza
individuale soffra dentro di sé ed abbia ferite che
posso non rimarginare, come la piaga appunto! Ma nello stesso
anno esegue opere a tecnica mista con riporto di giornali.
Quindi, i percorsi in blu, di costruttiva robustezza: la serie
degli autoritratti della seconda metà degli Anni Novanta.
È anche possibile che verso il centro si formi un nuovo
tipo di avvenimento, con forme maggiori e colore differenziato.
Siamo indotti alla meditazione. Il segno unisce l’uomo dalle
origini al futuro ignoto. L’uomo è un essere simbolico,
pieno di valori tramandati dal tempo. Un ampio diario, la
cui mobilità è incessante. La vita umana è
un racconto, e fa parte di una scrittura eterna, infinita.
Vorticosa come i suoi ritratti.
Nel corso degli anni, i tracciati, i segni, cambiano consistenza.
Diminuiscono di numero e aumentano in grandezza verso la
fine degli Anni Novanta. Diventano veri personaggi astratti,
dinamici, anche conflittuali, aperti, sollevati in uno spazio
dilatato. L’impaginatura pare sconvolta da moti che scattano
in tutte le direzioni in una frammentazione plurima. Il dipinto
in quanto opera governata dall’artista offre comunque sempre
una forte coesione: come se il singolo quadro fosse una finestra
dalla quale si guarda un enorme arabesco che sta passando
ora là fuori nello sazio, una sterminata ignota scrittura
in movimento.
L’opera pulsa tra allargamento e concentrazione, entusiasmo
e stupore.
Forse anche vertigine.
Quando molti risultati sono ormai acquisiti, Teodolinda Varisco,
partita da figure umane molto verosimili, pur confermando
le precedenti esperienze approfondisce l’impianto compositivo,
spostando anche lo spettatore verso un nuovo impensato livello
di ideazione. Nella parte centrale, il quadro contiene il
corpus della narrazione, nel quale a misura più piccola
è ripetuto il quadro stesso. L’immagine appare due
volte: nel rettangolo centrale, e nell’area circostante e
là fuori è replicato in grande ciò che
è contenuto più piccolo nella dimensione più
interiore… squarci visibili e/o nascosti; fenditure; arbusti
dell’amata Umbria; sassi delle Cinque Terre; giornali; conchiglie;
echinodermi. Tutti questi nuovi elementi divengono caratteri
dell’alfabeto di Teodolinda, costituiscono una svolta nell’ambito
della sua ricerca estetica centrale.
Come se il quadro portasse in grembo se stesso. Maternità
di un’opera!
La dicotomia tra le due visioni –non essere e già
essere dell’opera- è fornita dallo scambio positivo-negativo.
Una nascita… le sue immagini: “il bimbo nel tempio”, “dal
cuore squarciato di Cristo: la Chiesa”; Santa Chiara”. Ed
anche i colori vengono impastati con terre sbriciolate, come
le tecniche medioevali (caratteristica di chi vuole “costruire”
il proprio colore), sabbie quasi dorata, pietre rose del Subasio.
E se invece sabbia su nero è all’interno, allora all’esterno
ci sarà nero su sabbia. Il dipinto afferma due volte
se stesso, prima perché dipinto e poi perché
contiene la propria replica. Ma anche nega se stesso, perché
uno dei due è il negativo dell’altro. L’effetto finale
dà il senso di una solidità di immagine misteriosa
e incrollabile. E anche di autocritica, appunto a causa di
tale contrapposizione interna con se stesso: in questa dialettica
che rimane aperta, il sì risponde al no, il positivo
e il negativo si controbattono lucidi e decisi.
Che cosa possiamo ancora affermare? Mormorare? Urlare?
Il quadro riprende se stesso, guarda se stesso. Ed è
altrettanto assicurato nell’equilibrio della sua composizione,
quanto buttato attraverso se stesso nella dialettica interna,
nel suo confronto interno. Fino a ieri era un segno, o un
sistema di segni, e ora è diventato un segno di autorispecchiamento,
autoconsapevolezza, autocritica.
Diverse immagine di Cristi ed un lavoro di rispecchiamento
interno è pure una proposta logica, di pensiero e di
spiritualità, di appassionato bisogno di consistenza
interiore. Una proposta culturale davvero complessa e densa,
nella sua rigorosa chiarezza. Che è esattamente una
delle cose di cui abbiamo maggiormente bisogno in questa fase
della modernità, spaesata, talora scellerata, sbalestrata
tra prepotenza, superbia, qualunquismo e smarrimento stuporoso.
Nell’attuale clima storico-culturale l’autoanalisi e la consapevolezza
diventano beni importanti e preziosi. È una sorpresa
vitale vedersi venire incontro questi dipinti a rimando interno:
immagine di accertamento, analisi, verifica. Ci elargiscono
lo stesso atto creativo, la stessa forma o mentalità
dell’autocoscienza ossia formazione concettuale dell’io; quasi
una visualizzazione dell’io in quanto pensiero capace di frugare
se stesso, riconquistare se stesso. Non certo l’io egocentrico
intimista aneddotico perso nel suo narcisismo, bensì
il movimento del pensiero in sé, che si assesta con
chiarezza, e anche con coraggio.
L’ultimo ciclo si intitola Te Deum, che chiude il Novecento
iniziato da Rouault con il “Miserere”.
La soglia è il passaggio da uno spazio a un altro.
Dopo i segni grafici e i manoscritti, dopo i frammenti dell’anima,
Teodolinda Varisco dipinge i propri quadri facendo in modo
di rappresentare una superficie che del fondo si squarcia,
in cui lembi si sollevano, e appare il nero fondamentale.
E’ l’esperienza del “Bereshit barah Elohim” di genesiaca memoria.
Questo nero è il negativo. Si dice che il nero è
quello che non si sa, quando si è nati, sono passato
attraverso una soglia verso il bianco. Noi siamo avvolti dal
“nero”. Il bianco è potenzialmente qualsiasi colore,
la somma del positivo; la nostra vita è fitta di circostanze,
ma limitata: il nero è il non essere, circostante alla
dinamicità dell’esistenza. Avviene una meditazione
sul buio che ci attornia. La rappresentazione pittorica della
lacerazione del quadro, è la soglia oltre la quale
guardiamo che le nostre potenzialità pur essendo effettive
sono limitate, sospese. Il nero è la fine di ogni racconto.
E lo è per l’Origine, per quei “Bagliori di carità”,
lo è in “Pollini e scintille” come in “L’adultera”,
oppure in “Maddalena quasi pentita”, in alcune sue maschere.
La tecnica del graffito, dei vasi greci riaffiora nelle esperienze
tattili di L50 per fare emergere il suo anelito alla vita,
nell’arte, alla sua ricerca di e fra le cose, alla sua propensione
e tensione al meta-trascendente, nell’accezione più
greca del termine, a quel sovraumano presente in immagini
oniriche che si stagliano da uno sfondo nero. Oppure nero
è il contorno marcato e netto, simile in taluni casi
al grande maestro Rouault cui la Varisco deve il suo debito
formativo. E poi il nero è colore di sfondo delle “Compagne
dell’Esodo”, amiche di Teodolinda, da cui si stagliano per
esprimere loro stesse e cantare, con le loro storie, la vita.
Nero è il colore, come certi blu cupi di sui autoritratti
della lotta fra tenebre e luce, è paradigma della ricerca
umana fra cose visibili ed invisibili.
Da là io vengo, là tornerò… Memento
mori!
Il quadro viene realizzato attorno a questa “s-composizione”
o lacerazione. Storicamente, Teodolinda medesima ci informa
che l’idea di un andare oltre il quadro proviene solo dalle
tele di Lucio Fontana in Wassily Kandinsky il quale, per evidenziare
un ulteriore movimento spaziale, praticava tagli nella tela
stessa, apriva fori. Teodolinda si ricollega a questa intuizione;
è però essenziale osservare che Ella evita di
ripeterla in modo materico-gestuale, e giustamente la riformula
a fondo con mezzi puramente pittorici.
La capacità di Teodolinda Varisco di rinnovarsi con
coerenza evolutiva ha prodotto, negli anni della sua maturità
forte e originale, un itinerario di cicli che procedono in
una loro logica libera. Riconsideriamo i più recenti.
Il “Te Deum”, ossia le forme segniche autonome e dinamiche,
le piaghe, la molteplicità delle scritture sovrapposte
nello spazio, unitamente a “sfondamenti” del supporto bi-dimensionale,
il ciclo dei sassi, quando gli elementi monolitici, di superfici
naturali, vanno in pezzi, si scompongono, assumono colori
individuati, e si ricompongono. La Maternità, che nel
vortice dei frammenti e delle scritture centrifughe ripropongono
tuttavia una figura centrale: Maria, oltre la quale e il varco.
La porta…
Oltre la Soglia, che, dopo la fine di ogni racconto, riapre
il racconto.
Una storia infinita, che si riannoda alla nostra, in una
sorta di ripetizione come dice L50 di storie bibliche.
Infatti, la soglia è bivalente. La narrazione di ciò
che non siamo, ha luogo con la narrazione dell’essere che
siamo, o che diveniamo».
Prof. Alessio Varisco
Designer – magister artium
Art Director Associazione Culturale Técne
Art Studio
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